Caccia illecita ai cinghiali Gli indagati si difendono
La Provincia: «Fiduciosi nella magistratura»
Ieri mattina 7 indagati (su 8) sono stati ascoltati dal gip Cesare Bonamartini nell’ambito dell’inchiesta sul presunto abbattimento illecito di cinghiali nel Bresciano: sono tutti amministratori e ufficiali della Provincia.
Comandante della Polizia provinciale di Brescia, ufficiali dello stesso corpo, funzionari di Regione e Provincia e amministratori pubblici. Ieri mattina in 7 (su 8 indagati) sono stati ascoltati dal gip Cesare Bonamartini nell’ambito dell’inchiesta sul presunto abbattimento illecito di cinghiali nel Bresciano, attraverso un piano di contenimento privo delle autorizzazioni dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale. Per loro, accusati di uccisione di animali, peculato inquinamento ambientale e macellazione abusiva, il pm Ambrogio Cassiani che ha coordinato l’indagine dei Carabinieri Forestali, ha chiesto la misura interdittiva della sospensione dal servizio.
Sul destino lavorativo del comandante Carlo Caromani e dei suoi sottoposti Dario Saleri e Gianluca Comini, del tecnico dell’ex ufficio Caccia della Provincia, Raffaele Gareri, del presidente dell’Ambito territoriale Unico, Oscar Lombardi e dei dirigenti, in carica e passati, Giulio Del Monte e Alberto Cigliati, dell’Ufficio territoriale della Regione il gip si pronuncerà nei prossimi giorni. Tra gli indagati (escluso dalla richiesta di sospensione dal servizio perché la sua carica è elettiva) c’è anche il presidente della Provincia di Brescia Pierluigi Mottinelli. In Broletto, al momento, non si commenta nell’attesa del completamento dell’iter giudiziario. «Non ci risulta per ora alcuna richiesta di rinvio a giudizio. Abbiamo fiducia nella magistratura», si limita a dire il consigliere Diego Peli, delegato alla Polizia Provinciale. L’indagine era partita da alcuni accertamenti dei Forestali di Vobarno durante la sagra del Cinghiale a Toscolano del luglio scorso per verificare la tracciabilità della carne di ungulato commercializzata in quell’occasione. Lo spunto investigativo era venuto inizialmente dal fatto che la carne frutto di abbattimenti controllati non può essere venduta, ma battuta all’asta (con il ricavato da destinare agli enti locali), ma successivamente gli inquirenti si erano concentrati sul piano di abbattimento «immotivato», contestando il reato di uccisione di animali. Tra i requisiti per l’applicazione del contenimento c’è anche il numero elevato di esemplari di fauna selvatica (di proprietà del demanio, di qui l’accusa di peculato), stabilito scientificamente attraverso un censimento che «in provincia di Brescia — spiega il comandante dei Forestali, il colonnello Giuseppe Tedeschi — non è stato fatto in maniera precisa».
Ma la Procura contesta anche le modalità di macellazione non avvenuta regolarmente, senza avvalersi degli appositi centri, con rischi per la salute dei consumatori. Al centro delle indagini, dunque, il mancato rispetto di una serie di prescrizioni previste in questi casi. Nei giorni scorsi, soprattutto gli agricoltori, avevano accolto con favore la delibera regionale — votata all’unanimità — per l’abbattimento dei cinghiali (le cui incursioni sono causa di danni milionari alle coltivazioni), ma subito dopo, su sollecitazione delle associazioni animaliste, Lac in testa, era arrivato il pronunciamento del Tar con la sospensione dell’autorizzazione regionale per il contenimento dei cinghiali usando le doppiette.