Migranti, la campagna va in Gambia
La coop di Marco Riva nel paese africano: «Giovani non venite in Europa»
Nel programma c’è materiale illustrativo, opuscoli che spiegano i rischi di intraprendere un viaggio della speranza che potrebbe diventare un incubo o, nella migliore delle ipotesi, potrebbe trasformare la terra promessa in una terra matrigna, senza prospettive. La cooperativa di Marco Riva (imprenditore dell’accoglienza migranti nel Bresciano) dopo la Guinea è approdata in Gambia per incontrare i giovani e far passare il messaggio: «Non venite in Europa».
«Ora sì che possiamo parlare liberamente e guardare al futuro con speranza», dice, sorridendo, Muhammad mentre guida il suo taxi che sta portando la delegazione della cooperativa «Un sole per tutti» alla «Gambia Senior Secondary School». Siamo a Banjul, capitale del Gambia, piccolissimo Stato dell’Africa occidentale che sino al 21 gennaio dell’anno scorso è stato «soffocato» dalla dittatura di Yahya Jammeh, ex presidente ora in esilio in Guinea Equatoriale. Col nuovo presidente, Adama Barrow, si respira finalmente un’aria diversa, di fiducia. Nonostante questo però, i giovani continuano a lasciare il Paese per arrivare clandestinamente sino a quella che credono possa essere la loro “terra promessa”, l’Europa. Dati Unhcr alla mano, tra il 2016 e il 2017 compreso hanno messo piede sul Vecchio Continente circa 19 mila gambiani, per lo più di età compresa tra i 18 e i 26 anni, su una popolazione totale di 1,8 milioni di abitanti. La cooperativa «Un solo per tutti», impegnata nella provincia di Brescia nell’accoglienza migranti grazie all’esperienza maturata negli anni dal suo presidente Marco Riva (imprenditore e albergatore che ha aperto le sue strutture ai richiedenti asilo), dopo essere stata in Guinea Conakry e aver dato inizio a una campagna d’informazione e sensibilizzazione nelle scuole della capitale, approda ora in Gambia con il medesimo scopo.
Grazie al supporto del governo gambiano e del «National Youth Parliament – The Gambia», associazione locale che fa da ombrello a tutte le associazioni giovanili del Paese, Fausto Conter, General & Project manager di «Un sole per tutti», durante la settimana di permanenza, visita due scuole secondarie con l’obiettivo principale è di informarli circa i rischi del viaggio migratorio e il lungo iter burocratico che li aspetterebbe una volta raggiunta l’Italia. Tutti gli studenti conoscono almeno una persona che ha affrontato il viaggio della speranza e molti di loro hanno perso amici. «Ho capito che fare il viaggio sarebbe pericolosissimo, vorrebbe dire rischiare la mia vita. Non voglio partire. Ma avete delle alternative da proporre per convincerci a restare qui?», interviene al microfono Musa, 15 anni. «Adesso sta a noi costruire il futuro nel nostro Paese, ora che siamo liberi di farlo», gli risponde subito Fatouma, 14 anni, prendendo la parola. È assolutamente vero: una campagna d’informazione è solo il primo passo. Poi serve altro per far sì che questi ragazzi non lascino il proprio Paese alla ricerca di un qualcosa che difficilmente troveranno. Serve un apparato statale e delle organizzazioni operanti sul territorio che implementino il livello di formazione e favoriscano la nascita di nuove piccole e grandi imprese che portino posti di lavoro.
Nel corso della settimana, gli incontri non si fermano però solo alle scuole, proseguono in maniera non ufficiale anche nelle strade di Banjul, sulle spiagge di Serrekunda oppure al villaggio di pescatori di Tanji, 30 chilometri a sud della capitale. Qui, Fausto Conter e Babucar Nyang del NYP (National Youth Parliament), tra le reti da pesca e le barche, incontrano persone, soprattutto moltissimi ragazzi giovani, alle quali spiegano il motivo della loro presenza. Quando scoprono che Fausto viene dall’Italia tutti gli sorridono e gli stringono la mano: «Grazie italiani, voi aiutate i nostri fratelli che arrivano sin da voi».