IL MORETTO RITROVATO
A Porzano di Leno, dopo nuove cure, una pala malamente restaurata nel 1898 ha riservato una strepitosa sorpresa
Per più di un secolo le pennellate di un imbrattatele hanno nascosto la mano del Moretto. Come dire: sotto la crosta un capolavoro. La rivelazione esce oggi dallo studio di Leonardo Gatti, incaricato di ripulire la pala centinata (metri 215 x 143) che è nell’abside della chiesa di San Martino in Porzano di Leno.
«È il Moretto» hanno gridato gli operatori — proprio come i marinai quando avvistavano la terra agognata — man mano che riaffioravano i suoi colori e le ombre. Un Moretto ritrovato, hanno poi confermato gli esperti.
Sorride il restauratore: «Angelo Loda della Soprintendenza e don Giuseppe Fusari, direttore del Museo Diocesano, sono certi dell’attribuzione». Ben spesi, quindi, i quattrini ottenuti dalla Fondazione Asm.
Addio quindi ai pareri dei contrari, dei dubbiosi e dei favorevoli. Ieri non potevano che ragionare a fiuto. Bella forza! Erano davanti a un’opera grande, ma mascherata da un pittore sconosciuto che doveva solo ripulirla. Al massimo poteva apparire un’opera di bottega del Moretto.
Per la squadra di Gatti lo svelare il capolavoro è stato come giocare al gratta e vinci. Man mano che veniva «grattata» la pittura di superficie — mi si passi il termine — appariva lo stesso soggetto. Si è capito subito che il ritoccatore, lo sciagurato, andando oltre al suo compito di riparare i guasti del tempo della tela, aveva pensato (male) di far copia del modello di superficie. Al buon parroco di San Martino, digiuno d’arte, il restauro di 120 anni fa apparve bello, fresco e luminoso. E rimise la pala al suo posto.
Vista ora l’opera, quel pinturicchio — nel senso di piccolo pittore e non certo del grande Bernardino di Betto Betti — non seppe certo ricreare ombre e luci come il Moretto. Fallì anzi nel rifare i panneggi o nel ricopiare le figure, persino la dolcezza della Madonna che allatta il bambino, assisa su una falce di luna, circondata da angioletti che fanno capolino fra le nubi. Piatte le figure di San Martino in veste episcopale (titolare della chiesa) e santa Caterina d’Alessandria, cui erano devote le benedettine di Porzano, legate al monastero di Santa Giulia.
L’occasione è buona per ricordare la competenza di Camillo Boselli. Fu lui a individuare il Moretto anche guardando un fiacco ricalco. Il Fenaroli l’aveva invece giudicata «probabile copia». Mons. Paolo Guerrini aveva confermato. Camillo Boselli indicò pure l’anno di creazone: 1530. Lo scempio dovrebbe risalire al 1898 quando la pala fu staccata dalla chiesa, ritoccata e ricollocata entro una soasa uscita dalla bottega dei Poisa. Un secondo restauro, di superficie, fu fatto nel 1970. E così esponendola nel 1980 ritornarono gli stessi dubbi e furono tratte le stesse conclusioni.
Ora gli interventi per il ripristino — debitamente autorizzati — li spiega Leonardo Gatti: «L’operazione di pulitura, seguita passo dopo passo dalla Soprintendenza, s’è presentata complessa e delicata. Abbiamo utilizzato speciali impacchi di solvente, poi rimossi. Le tinte originali sono state completamente recuperate». Il problema del colore ha assillato il restauratore: «Le tinte originali del maestro erano in parte nascoste da vari interventi. Le splendide tinte originali, che hanno permesso di leggere correttamente l’opera, sia dal punto di vista cromatico, sia grafico, sono riapparse sotto i numerosi ritocchi nonché le parziali ridipinture, le vernici alterate». Un miracolo.
A completare i lavori manca poco. Conclude Gatti: «Si devono completare le operazioni di ritocco e finitura». Ad agosto la pala sarà riconsegnata al parroco l’abate di Leno monsignor Giovanni Palamini.
Brescia ha un tesoro in più.
Attribuzione La nuova attribuzione è certificata dal direttore del Museo diocesano e dal soprintendente
Le splendide tinte originali erano state coperte e occultate
Lungimirante Solo Camillo Boselli, in passato, aveva attribuito la pala ad Alessandro Bonvicino