Cento anni di bottoni e gomitoli L’epopea della dinastia Conca
La bottega a Pavia, le guerre, «il Guido». Ora tocca a figli, nipoti e pronipoti
Nell’emporio di bottoni e passamanerie gestito nel dopoguerra dal soldato Guido, le generazioni successive festeggiano con passione i 104 anni di attività. Eppure, quando nel 1945 Guido Conca tornò dal fronte, di bottoni, gomitoli colorati e pizzi, non ce n’erano più. Sua madre Carolina aveva allestito la merceria e la vetrina affacciata su via San Pietro in Verzolo, a Pavia, con tante scatole chiuse: la guerra aveva colpito duro, ma bisognava infondere speranza negli abitanti del quartiere. Quelle scatole erano vuote: calze, maglie, pigiami, erano stati regalati tra il ’43 e il ’44, a chi scappava dalla città per paura dei bombardamenti. Nei cassettoni in legno massiccio la merciaia aveva lasciato soltanto qualche spoletta da cucito, nell’attesa che, prima o poi, uno dei suoi sette figli li riempisse nuovamente.
Guido, il più giovane, era lontano da casa ormai da sette anni: aveva combattuto al fronte in Albania, poi fu fatto prigioniero in Jugoslavia. Il suo sogno da ragazzino era quello di fare il falegname, ma una volta tornato a Pavia si mise dietro il bancone di mamma Carolina, e ci restò per sempre. A 15 anni si era fatto un po’ di esperienza come magazziniere in un’altra merceria del centro, ma in quel momento bisognava proprio ripartire da zero, reinventarsi. Fu il boom economico e le operaie della Necchi a contribuire alla rinascita del negozio di bottoni e fettucce dei Conca. Negli anni ’50 e ’60 con la storica fabbrica di macchine per cucire, c’era un gran viavai di sartine che ogni giorno andavano da Guido, diventato il Marcantin da San Pè, a comprare bottoni in madreperla da cucire sulle camicie degli industriali pavesi, e filati pregiati da intrecciare per confezionare maglioncini da signora. Poi venne il ripopolamento del quartiere, con centinaia di persone che arrivavano dal Sud per lavorare alla Snia Viscosa, alle quali Guido impartiva lezioni di dialetto rinominando aghi e fettucce. «Abbiamo trovato i quadernini delle sarte dove si annotava la merce che poi veniva pagata ai primi del mese», ricorda Maria Elena Conca, che oggi gestisce il negozio con la figlia Lisa e il nipote Amos.
Tra un corsetto e una cerniera, Guido incontrò Luisa, arrivata dai colli piacentini con madre e sorelle per aprire la trattoria «Delle 100 donne», e la convinse a lavorare con lui. «Mio padre era un tipo brillante, un bel ragazzo — racconta Maria Elena —. Ci sapeva fare con la clientela femminile: ha persino trovato l’amore davanti all’uscio. Lui non c’è più, invece mamma Luisa ha 93 anni, e ogni tanto viene ancora in negozio». La famiglia Conca resiste preservando l’atmosfera d’altri tempi. La mobilia è ancora quella dell’apertura nel 1914, e sugli scaffaloni di legno scuro ci sono più di tremila modelli di bottoni e settecento colori di lana. Lisa e Amos, le nuove leve, pubblicano invece foto e promozioni sul web: «Abbiamo mantenuto gli arredi originali, con gli scaffali fino al soffitto e le cassettiere con le targhe in ottone volute dai miei genitori — racconta Maria Elena —. Io sono ancora vecchio stampo, invece Amos e Lisa attirano la clientela più giovane: è tornata la passione per il lavoro a maglia, e molte ragazze sono venute qui ad imparare a sferruzzare. È bello vedere poi i loro lavori su Facebook e Instagram».