QUESTIONE DI SGUARDI
Il grande esodo estivo sta per prendere il via. O forse non è mai finito, e in maniera intermittente si perpetua ogni weekend. Basta vedere i serpentoni di auto che si dirigono verso laghi e monti. Mio padre, che di viaggi e di vacanze ne fece sempre assai pochi, di fronte alle cronache televisive che celebravano le code al casello di Melegnano precipitava in un umor nero che sconfinava nell’accidia. Penso perciò ai tanti invisibili che — per mille motivi e per una sola, ovvia necessità economica — non partecipano al gioioso rito della vacanza di massa. Eppure qualcosa c’è, a basso costo e alla portata di tutti. Il consiglio-rifugio è di scoprire o riscoprire il ben di Dio che ci circonda e che ai bresciani richiede spostamenti minimi. Dalla Rocca d’Anfo al Castello di Padernello, dalla Val Grande al basso Oglio, basta un pizzico di spirito di iniziativa per ritrovarsi turisti a casa propria. I giudizi di TripAdvisor possono orientare. Ma anche annoiare. Per guardare con occhi nuovi, da protagonisti di un minimo Grand Tour, meglio farsi guidare dalla letteratura, dalle pagine degli scrittori che ammirarono e cantarono la terra bresciana. Riccardo Bacchelli definiva il Garda «mare dolce». Un motivo c’è. Il Nobel Paul Heyse cantava «l’eterea luce solare» e i «grigi scogli» di Sirmione dove «s’infrangono monotone le onde del lago e la loro sommessa musica si direbbe un leggero respiro dell’acqua». George Sand osservava che i dintorni del lago d’Iseo «sono dolci e freschi come un’egloga di Virgilio» e i prati della zona sono «letteralmente smaltati dai più bei fiori che produce la Lombardia». Secondo l’abate Antonio Stoppani (quello del «Belpaese») la via dell’Aprica «è meravigliosa, estasiante, descrivibile e indescrivibile», ma rispetto ad altri passi alpini «più umana, più carezzevole». L’alpinista londinese Douglas W. Freshfield, approssimandosi al lago d’Arno al tramonto, rimase incantato dalla «calda incandescenza che indugiava ancora sulle creste granitiche e sui ghiacciai». Camillo Boito in Valle Sabbia gustò sapori indimenticabili: «Mangiavo le belle trote rosee del lago d’Idro, gamberi saporiti, funghi, uccelli, cacini di capra, molte ova, molta polenta». Mario Soldati, a passeggio nella piazza di Orzinuovi, sentenziava: «L’Italia, per conoscerla veramente, per capirla, bisognerebbe girarla a piedi». Un buon consiglio. L’importante però, come insegnano gli scrittori, è aguzzare i sensi per assaporare in modo nuovo ciò che già conoscevamo. O credevamo di conoscere.