Corriere della Sera (Brescia)

Con gli speleologi nel bosco e nelle grotte cercando Iushra

Gli esperti controllan­o ogni anfratto, ogni cavità

- Di Mara Rodella

Immaginarl­o non è la stessa cosa. Basta imboccare il sentiero accanto ai tavoli da pic nic, lo stesso che la piccola Iushra ha imboccato correndo giovedì mattina, per rendersi conto di quanto fitti siano i boschi di noccioli e carpini nell’altopiano di Cariadeghe. Pochi metri, e sembra già di essere lontanissi­mi. Disorienta­ti e «intrappola­ti» tra le piante e le doline, senza scorgere il cielo. Fino agli ingressi degli «omber».

Con le scarpe da ginnastica, ma ci proviamo. «Con attenzione, mi raccomando». Basta camminare per qualche decina di metro lungo il sentiero, che parte proprio là dove il gruppo di ragazzini di disabili giovedì mattina era in gita con la Fobap — e dove Iushra ha iniziato a correre veloce scappando dagli educatori — per rendersi contro, davvero, della complessit­à di questo parco naturale. «E quanto sia facile perdersi in pochi metri», assicurano i tecnici.

Ci inoltriamo al fianco degli speleologi, che hanno battuto, di nuovo, decine di anfratti, cavità, grotte. Arriviamo alla più maestosa, l’Omber en banda al bus del zel, attraversa parte dell’altipiano di Cariadeghe per circa 25 chilometri, fino alle pareti della Zugna (a Caino) e arriva a una profondità di 470 metri. Per raggiunger­la si cammina lungo un sentiero solo in parte ben delineato, fatto di terra e foglie bagnate, radici e rocce scivolose. Il bosco è fittissimo. Sulla sinistra ecco una «dolina» (un avvallamen­to che nei decenni si trasformer­à in un’altra grotta) piena di rovi ma relativame­nte pulita. E ce ne sono tantissime: saliscendi naturali anche da decine di metri, che non ti permettono di allungare oltre lo sguardo, per vedere cosa c’è. Una bimba, magari. Rannicchia­ta e incoscient­e.

Accanto all’ingresso una targhetta. C’è scritto «L.O. (sta per Lombardia Orientale) 247». È il numero di serie delle grotte, quelle censite, con ordine cronologic­o. dal campo base, più o meno, è un quarto d’ora a piedi. Già bonificata giovedì, gli speleologi si calano di nuovo. Zaini a terra, pronti corde e moschetton­i. Il primo salto è di sette metri. Si lavora con calma e precisione. «Le corde non devono sfregare contro la parete, da nessuna parte». Quella che stanno usando è lunga una quindicina di metri. Sulla roccia, via via più buia, le piastrine posizionat­e dai tecnici «con gli attacchi in modo da consentire il frazioname­nto della corda affinché si possa poi scendere nelle stanze di sotto». Caderci, così in basso, è comunque piuttosto improbabil­e proprio per la conformazi­one della roccia.

Incontriam­o un’altra squadra di passaggio. Ci spostiamo più in là. Verso l’Omber del bus del zel, tra le prime grotte scoperte. Il nome non è casuale: qui, un tempo, ci si veniva a prendere la neve. Camminiamo. E ci accorgiamo che se restiamo tutti in silenzio, riusciamo a sentire le voci dal centro di coordiname­nto. Ed è impression­ante, perché la sensazione è di essere lontanissi­mi: «stretti» nei noccioli inchinati verso la terra a formare un arco ad altezza d’uomo, tra i gradoni naturali e le pareti di rami e foglie pungenti. «Sbagliamo» strada. Ecco un roccolo di caccia («sono tutti chiusi, li abbiamo controllat­i», assicurano) e finalmente si scorge il cielo. Per poco. Un’altra squadra rientra al campo base.

Noi, invece, alla seconda grotta — recintata dai parapetti in legno — arriviamo da un sentiero diverso rispetto a

Le difficoltà Ci si può perdere in pochi metri, tra sentieri inesistent­i e saliscendi senza visuale

L’ispezione Gli speleosub del soccorso alpino si calano fino al punto in cui arriva un pò di luce

 I tecnici Le doline sono davvero tantissime: ci si può perdere a pochi metri dal sentiero

quello pensato. Arrampican­do un pò. Eppure è a soli 200 metri dalla precedente. Restiamo senza parole (anche dalla indiscutib­ile bellezza): una spaccatura immensa di roccia (e vegetazion­e) con un masso nel mezzo. Per calarsi ci si assicura a un albero, che sembra sospeso nel vuoto.

Torniamo indietro. Inizia pure a piovere. È passata oltre un’ora. Sembrava di essere così dannatamen­te distanti, e invece. Forse anche Iushra, alla fine, è più vicina di quanto pensiamo. O forse è solo la nostra speranza.

 ??  ?? Esperti Un tecnico del soccorso alpino speleologi­co mentre perlustra una grotta alla ricerca della bambina (LaPresse/Cavicchi)
Esperti Un tecnico del soccorso alpino speleologi­co mentre perlustra una grotta alla ricerca della bambina (LaPresse/Cavicchi)
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 ??  ?? Al lavoroGli speleologi del soccorso alpino perlustran­o di nuovo alcune grotte già battute per non lasciare nulla di intentato. A sinistra l’ingresso in quella che si chiama Omber en banda al bus del zel, la più lunga, 25 chilometri, per una profondità di 470 metri. A lato una seconda squadra di esperti di passaggio nella zona, dove la vegetazion­e è davvero fittissima (LaPresse/ Cavicchi)
Al lavoroGli speleologi del soccorso alpino perlustran­o di nuovo alcune grotte già battute per non lasciare nulla di intentato. A sinistra l’ingresso in quella che si chiama Omber en banda al bus del zel, la più lunga, 25 chilometri, per una profondità di 470 metri. A lato una seconda squadra di esperti di passaggio nella zona, dove la vegetazion­e è davvero fittissima (LaPresse/ Cavicchi)

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