LA GRANDE SFIDA AGRICOLA 4.0
Nel 2015, il fondatore di Google, Larry Page, ha investito 15 milioni di dollari in Farmers Business Network, una start up fondata solo l’anno prima ma capace di utilizzare i big data per migliorare la produttività dei raccolti. La mossa, seguita poi da altri grandi della Silicon Valley, è sintomatica di cosa stia accadendo nell’agricoltura alle soglie della quarta rivoluzione industriale, quella cioè della digitalizzazione di tutto ciò che ci circonda. D’altronde il problema è globale e non di facile soluzione: mentre noi pensiamo all’auto elettrica e installiamo pannelli solari come non ci fosse un domani, dimentichiamo che il 73% dell’effetto serra è generato dall’industria alimentare. Coltivazioni e allevamenti intensivi che bruciano risorse e che, tuttavia, faticano a sostenere la spinta demografica che porterà l’umanità verso i dieci miliardi entro il 2050. Ma, se il problema è globale, le soluzioni non possono che essere ricercate localmente, in una prospettiva bottom-up, come dicono i cultori dell’open innovation. Fa quindi piacere l’impegno che la nuova generazione di «farmer» bresciani ci sta mettendo per rinnovare la tradizione colturale (e culturale) che affonda le sue radici nel trinomio mais-latte-carne suina. Basta guardare ai titoli delle tesine che sono state presentate all’Istituto Pastori durante gli esami di maturità di qualche settimana fa — molte delle quali incentrate sull’applicazione delle logiche del precision farming. Oppure al programma Valli Resilienti che mira ad attirare capitali e idee per fare impresa (agricola) in montagna. O, ancora, alle idee scaturite dall’undicesima edizione del premio Innovazione di Giovani Impresa di Coldiretti: dal Qr Code per i suini di Bedizzole all’allevamento di lumache da cui nasce una linea di cosmetici naturali di Travagliato fino alla stalla di Dello dove alle mucche si fa ascoltare musica classica per distendere le fibre e produrre carne di altissima qualità. Esperienze molte diverse. Ma con un denominatore comune che conforta: l’innovazione alimentata dalla digital transformation non cancella aprioristicamente il passato, anzi ne riesce a sintetizzare i contenuti più intelligenti, puntando sulla riduzione della dimensione media come la teoria della coda lunga insegna. Mentre il mondo invecchia e s’inaridisce, tocca a questa nuova generazione di agricoltori trasformare le fattorie dei padri in fabbriche digitali ad alta produttività e a minimo impatto. Prima che lo facciano i giganti del Web.