La pista ciclabile infinita
Ripartono dopo 15 anni i lavori del primo lotto sul Lario Ma per il tratto a sbalzo va rifatto lo studio del fondale
LECCO La ciclabile più bella del mondo, stupenda di giorno, entusiasmante di notte. Così, e a buona ragione, è stata definita la pista ciclopedonale di Limone del Garda, da poco inaugurata. Due chilometri di meraviglie a strapiombo sul lago. Un sogno amaro per i lecchesi, che a lungo avevano coltivato la speranza di essere i primi a regalare un simile stupore ai ciclisti. E invece a quindici anni dal primo progetto ancora attendono. «Siamo stati i precursori. La tecnologia usata sul Garda è la stessa anticipata da noi all’inizio degli anni Duemila: telai in acciaio prefabbricati per costruire la pista a sbalzo a lato della superstrada 36», spiega Rocco Cardamone, che è stato per due mandati sindaco di Abbadia Lariana, tra i fautori dell’intervento.
Il tratto è quello che collega Lecco ad Abbadia, poco più di quattro chilometri che i ciclisti sono costretti a percorrere zigzagando sulla statale in mezzo alle auto, nonostante il codice stradale lo vieterebbe e l’evidente pericolosità. La storia della ciclabile infinita, una pista identica a quella del Garda che doveva nascere sul lago di Como e per cui bisognerà attendere ancora anni, è costellata da lavori a singhiozzo, appalti affidati e revocati, ricorsi, sopralluoghi, interrogazioni parlamentari. L’idea alla fine del secolo scorso, l’approvazione del progetto esecutivo nel 2003, l’arrivo dei fondi, circa 12 milioni di euro, tre anni dopo. Nel maggio del 2009 la pubblicazione del bando. «Sarà pronta nel 2013», l’annuncio. Poi accade di tutto. Un contenzioso con la prima azienda che si aggiudica l’appalto, la seconda fallisce, la terza è raggiunta da un provvedimento interdittivo antimafia della Prefettura di Roma. L’Anas dispone il recesso dal contratto. L’impresa fa appello al Tar e vince, ma nel frattempo la stessa società fallisce. Si riparte da capo, con la Rete Costruzioni di Sondrio. Intanto sono passati dieci anni e questa volta è la natura a mettersi di mezzo.
Il fondale del lago dove dovrebbero essere collocati i piloni a sostegno della ciclabile a sbalzo è mutato, in alcuni punti è più profondo rispetto a quanto previsto nel progetto del 2003. Servono una variante e fondi extra, che non arrivano. L’impresa valtellinese denuncia l’impossibilità di proseguire il cantiere, chiede la rescissione e i danni.
L’Anas scioglie il contratto. Siamo a giugno 2017. Nei giorni scorsi, mentre l’Italia guardava con stupore le meraviglie del Garda, Anas, su pressante richiesta della provincia di Lecco e dei sindaci del territorio, divide il progetto in due lotti e appalta il primo, il meno spettacolare e più semplice da realizzare, un chilometro e mezzo non a sbalzo, dalla zona di Caviate fino al Pradello.
Ci vorranno 120 giorni di tempo e un milione di euro per mettere in sicurezza il tracciato, ad oggi non percorribile, realizzato anni fa, all’inizio dei lavori, restringendo la carreggiata della superstrada 36. Questo tratto sarà asfaltato, prevista la creazione di una rete di illuminazione, di un nuovo guardrail e di una schermatura con verde lato strada. Taglio del nastro, incrociando le dita, a inizio del 2019. Ma per poter arrivare in bicicletta fino ad Abbadia, lungo la pista che dovrebbe essere costruita a strapiombo sul lago, dovrà essere rifatto il progetto. «Al momento sono stati trovati i fondi per le nuove indagini geologiche e geotecniche. Dobbiamo continuare a fare pressione su Anas. È una questione di sicurezza, prima che di turismo», spiega Giampietro Tentori, consigliere delegato ai lavori pubblici della Provincia di Lecco. «Non dobbiamo demordere. Possiamo farcela», l’appello di Cardamone. Ma intanto ai lecchesi non resta che andare sul Garda.