L’isola del Garda terra di generali, santi e imperatori
Il palazzo neogotico è stato costruito all’inizio del Novecento
Magica isola di Garda. Chi vi approda prova le stesse emozioni avvertite in tempi lontani da santi, sovrani e poeti. San Francesco, nel marzo 1221. E sei anni dopo Federico II, lo svedese «stupor mundi». O Sant’Antonio di Padova nel 1230. Il passaggio di Dante nel 1310 lo si ricorda per l’endecasillabo «Suso in Italia bella giace un laco». E forse l’isola gli suggerì la bella terzina: «Loco è nel mezzo là dove ‘l trentino / pastore e quel di Brescia e ‘l Veronese / segnar porìa s’e’ fesse quel cammino»? Isola attrazione: per Mantegna ed Eisenhower e tanti altri.
Due passi accompagnati dalla guida nel paradiso terrestre affiorato dal Benaco sono meglio di una lezione di storia. Ecco fra cedri e ulivi, aranci e limoni, viti e cipressi, il luogo scelto dai frati per un romitorio, poi una chiesetta ed un convento. Ed ecco i resti del monastero rinnovato da San Bernardino da Siena nel 1422 e divenuto nei secoli centro di meditazione. Dopo il 1797, soppresso il convento, l’isola passa al demanio. Quindi viene venduta a privati come il conte Luigi Lechi che nel 1817 fa costruire una villa, pensata come cenacolo di poeti, covo di cospiratori, nido d’amore. Se il salotto è per Rossini, Donizetti, Pindemonte, Vantini, la cantina è riservata ai patrioti: i fratelli Ugoni, Labus, Torri, Arrivabene. Lechi pagherà la sua avversione all’Austria con 16 mesi di galera a Milano, senza denunciare patrioti e fornire prove agli inquisitori della sua avversione.
Non si stupisca il turista se la guida accennerà a due lapidi in ricordo dei cani del conte. Per un piccolo bracco, dal carcere, dettò questa epigrafe: «Qui sepolto è Gnicco Gnacco. Era un bracco. Alto un palmo, malizioso. Affettuoso e fedele, carissimo al padrone, più assai di molte bipedi persone. Comandò questa memoria e gli mandò un sospiro dalle prigioni di Porta Nuova Luigi Lechi». Per un secondo scodinzolante amico scrisse invece: «Attila, mastino di gran mole e di pari bontà, custode innocuamente spaventoso di quest’isoletta, morì annegato, adempiendo il suo ufficio. Luigi Lechi, uscito dal carcere, gli pose non senza una lacrima».
Pagina straziante per il conte fu la morte — invero inspiegabile — dell’amata contralto Adelaide Malanotte che Foscolo aveva definita «la bella cantatrice dagli occhi nerissimi» e Pindemonte «dal soave canto». A 48 anni fu colpita da una imprecisata «malattia cerebrale». Rossini aveva scritto per lei il Tancredi, convinto che una donna con voce da contralto avrebbe potuto sostenere un ruolo maschile. Opera bella ma con finale trionfalistico. Quindi errato. Il Lechi, da poeta e non da cavaliere della Malanotte lo propose a Rossini con un finale consono alla vicenda. Piacque al compositore ed ancora oggi va in scena la versione con il testo di Lechi.
Morta l’amica Lechi non volle più restare sull’isola. La cedette al fratello Teodoro che la tenne un anno per poi darla al Demanio. Brutta scelta. Per nove anni (1860 1869) fu campo per soldati. E c’era l’idea di costruirvi una fortezza. Poi il ritorno ai privati e la rinascita. Dopo il barone Scotti di Bergamo, nel 1870 l’isola è acquistata dal duca Gaetano De Ferrari di Genova sposato con la nobildonna russa Anna Maria Annenkoff. L’isola rifiorisce. Solitro definirà i lavori zun grazioso ricamo di fate».
Oggi il visitatore trova giardini da incanto e un palazzo in stile gotico veneziano — progetto dell’arch. Luigi Rovelli di Genova — costruito fra il 1900 ed il 1903. Da allora la proprietà è passata da famiglia a famiglia per diritti ereditari; quindi dai De Ferrari al barone Scipione Borghese (protagonista del raid Pechino Parigi del 1907) in quanto sposo di Anna Maria unica erede che morì tragicamente. Oggi è passata ai Cavazza. Anna Maria annegò nel lago cadendo da una rupe il 25 novembre 1924 e il suo corpo non fu più ritrovato. Aveva 48 anni, come la Malanotte. Tragica coincidenza. Al di là di congetture fantasiose la signora precipitò in acqua da Capo delle
Tragedia Anna Maria, moglie di Scipione Borghese, morì cadendo dalla rupe: D’Annunzio le rese omaggio spargendo fiori nel lago
grotte mentre piantava semi di ghianda ricevuti dall’America. D’Annunzio, da tre anni a Villa Cargnacco, arrivò in barca sul luogo, lanciò in acqua fiori e rimase in piedi per alcuni minuti. Aveva incontrato la signora alle gare nautiche di Salò e le aveva promesso: «Mi vedrete giungere un giorno a nuoto alla vostra splendida isola».
Donna Anna Maria aveva fatto l’infermiera durante la Grande Guerra e nei mesi dell’epidemia di spagnola del 1918. Altra tragedia nell’isola fu la morte di Mary Bona Kifer, un’americana sposata a Nicola degli Albizz. Annegò il 16 luglio 1921 per un colpo di vento che aveva rovesciato la barca sulla quale prendeva il sole. Solo il marchese riuscì a salvarsi.