Parla Arianna Bellucci: «L’entusiasmo è tanto ma adesso puntiamo alla cura della malattia»
Tremore a riposo, perdita di equilibrio, rigidità e lentezza dei movimenti caratterizzano la malattia di Parkinson. Sconfiggere i meccanismi che determinano questi processi di neurodegenerazione è una delle grandi sfide della medicina. E i ricercatori dell’Università di Brescia, individuando il ruolo chiave della proteina «Sinapsina 3», hanno aperto la strada per capire come sviluppare una cura per questa patologia. Per la professoressa di Farmacologia Arianna Bellucci, che ha coordinato gli studi, la soddisfazione è davvero grande. «C’è molto entusiasmo per questo risultato, anche per Gaia Faustini e Francesca Longhena che sono le prime due firme di questa importante ricerca. Gli studi sono incoraggianti. E ora il prossimo obiettivo è trovare soluzioni per una cura effettiva della malattia che agisca sulle cause primarie».
Le terapie oggi come funzionano? Rallentano il decorso?
«I farmaci correggono i sintomi della patologia. Sono terapie sintomatologiche, ma non bloccano la neurodegenerazione. Le cause del Parkinson sono sconosciute, ma almeno nel 10% dei pazienti c’è una componente genetica. Nella maggior parte dei casi si assiste ad un invecchiamento cerebrale, ma non si hanno idee chiare su come si inneschi questo processo».
Voi però avete scoperto che la Sinapsina 3 gioca un ruolo decisivo.
«Sì. Dopo aver identificato un accumulo anomalo di Sinapsina 3 nel cervello dei pazienti affetti da malattia di Parkinson — grazie anche al lavoro dei professori Alessandro Padovani e Barbara Borroni — ci siamo chiesti se questa proteina fosse implicata nella patogenesi della malattia. E siamo arrivati a stabilire che la Sinapsina 3 è una componente fondamentale di quegli aggregati di proteine che, accumulandosi, portano alla morte dei neuroni».
Cosa avete potuto osservare?
«Quando la Sinapsina 3 manca, non c’è aggregazione di proteine. L’abbiamo osservato in laboratorio con una serie di sperimentazioni. Ora stiamo lavorando con alcuni modelli sperimentali in vivo, sempre in collaborazione con la Michael J. Fox Foundation. I risultati che abbiamo ottenuto indicano che la modulazione di Sinapsina 3 potrebbe veramente rappresentare una strategia terapeutica innovativa».
Bisogna bloccare questa proteina?
«Stiamo valutando come silenziare, cioè come spegnere questa Sinapsina 3, in modo da evitare l’aggregazione delle proteine che portano alla neurodegenerazione. E per farlo stiamo conducendo uno studio con l’Università di Milano e quella di Parma. Lo studio è su modelli cellulari, molto promettenti».
Ora l’obiettivo è arrivare a una cura.
«Certamente. Ma ci vorrà tempo. Consideri però che la maggior parte delle persone che sviluppa la malattia di Parkinson ha dei sintomi predittivi, che possono essere monitorati. Più la diagnosi è precoce, più i futuri farmaci per curare la patologia saranno efficaci».
Ma oggi qual è la situazione?
«Quando insorge la patologia, nell’80% dei casi le terminazioni neuronali sono perse. Ecco perché agire prima sulla diagnosi è un traguardo importante».
Ora ci sono le basi per sviluppare in futuro una cura. È vero o è un mito da sfatare l’idea che esista un collegamento tra i pesticidi e lo sviluppo del Parkinson?
«Non è un mito, ci sono studi scientifici a dimostrarlo. Alcune sostanze, dosate nei pesticidi, concorrono all’insorgenza della malattia: creano un danno al mitocondrio, essenziale nella vita della cellula. Chi è esposto ai pesticidi, quindi, ha un aumentato rischio di sviluppare la malattia di Parkinson».
Stiamo valutando come silenziare la Sinapsina con Parma e Milano
Agire prima sulla diagnosi è un traguardo molto importante