Manodopera: qui la parola d’ordine è «legalità»
I sindacati pensano ad un bollino etico
Se la Franciacorta è lontana anni luce dalla Puglia e dai quei caporali che comandano nei campi di pomodoro, perché non trasformare il rispetto della legalità in un certificato? Un bollino, da esibire. Parlante. Un sigillo che confermi che la manodopera lavora in sicurezza, che gli stranieri hanno fatto la visita medica — e pure la vaccinazione antitetanica —, che le pause siano previste, che l’acqua venga distribuita. Se ne è parlato il mese scorso, a margine del tavolo che ha visto seduti intorno Ats, ispettorato del Lavoro, associazioni di categoria, sindacati e aziende leader nel settore vitivinicolo. Si è discusso in primis di legalità e sicurezza, ma l’ambizione futura sarebbe un’altra: arrivare anche a una «certificazione etica».
Che poi significa rispetto delle regole: «L’interesse c’è, visto che sulla legalità — sostiene Daniele Cavalleri della Fai/Cisl — la Franciacorta insiste da anni». In realtà, il bollino potrebbe aprire un aspro dibattito. A sentire Maurizio Zanella, presidente di Ca’ del Bosco, è «inutile». Una bocciatura in pieno, la sua. «Non serve alcun bollino etico: chi deve controllare, controlli. E poi faccia le sanzioni».
L’imprenditore ricorda orgoglioso che di recente gli ispettori del Lavoro gli hanno fatto visita, riscontrando tutto in regola. Zanella è convinto che le regole ci siano già e vadano rispettate, «non siamo chiamati a interpretare le leggi. Ci sono i corsi obbligatori sulla sicurezza, sulla salute: vanno fatti. Come i contratti. Chi invece ha la coscienza sporca pagherà: è normale». E se la legalità è un valore, qualche abuso negli anni passati non è mancato, nemmeno sulle colline vitate tra Brescia e il lago d’Iseo. Soprattutto tra chi ricorreva ai voucher, segnando due ore al giorno quando il lavoratore ne faceva 10-12. «Ma non si parli di caporalato: è fuori luogo. Il 99, forse il 100% dei produttori della Franciacorta non l’ha mai permesso» sostiene il presidente di Ca’ del Bosco. E infatti il tema è un altro. Il tavolo di luglio tra istituzioni, produttori e sindacati metteva sul piatto il rigido rispetto delle conformità su sicurezza e contribuzione: vale a dire movimenti dei carichi, bottigliette d’acqua e integratori tra i filari, pause, applicazioni contrattuali e Inps.
«Queste spese sono a carico dell’azienda: funzionano da tutela e non ne pregiudicano l’attività — racconta un imprenditore della zona — ma se queste prescrizioni dovessero essere applicate in toto, diventerebbero molto pesanti». Chi parla rappresenta le preoccupazioni della piccola impresa. Un mondo che «dice sì alla legalità, ma con il buon senso» per citare un altro imprenditore del settore. Uno che la vendemmia la fa in regola, pagando il giusto ai lavoratori.
«Ma non posso sostenere la spesa della visita medica per tutti, se magari lavorano da me dieci giorni». La Franciacorta è lontana anni luce dalla Puglia, dagli schiavi dei pomodori costretti a lavorare a due euro l’ora.
E tuttavia, negli anni passati i sindacati denunciarono l’uso non regolare dei voucher e dei contratti di avventiziato, anche nel Bresciano. Episodi probabilmente molto limitati: «Non escludo peccati veniali – dice Maurizio Zanella – ma di lavoratori in nero, non dichiarati, da noi non ce n’è». Lui, che già l’anno scorso chiese più verifiche per evitare che uva non franciacortina inquinasse le cantine, ripete: «Fateli, i controlli».