L’amante: «Dovevo soccorrerla»
Forse la ragazza si poteva salvare. Il corpo chiuso in cantina per giorni. Oggi la convalida
Non si dà pace: «Ho fatto una sciocchezza a non chiamare il 112 dopo la sua caduta dalle scale», dice dal carcere Fabrizio Pasini, fermato per l’omicidio e l’occultamento del corpo di Manuela Bailo. Questa mattina è fissato l’interrogatorio di convalida.
Piange e si dispera. Giorno dopo giorno, prende sempre più consapevolezza di cosa sia successo. Della gravità dell’irreparabile. Dell’assurdità di una messa in scena, architettata ex post, che comunque non avrebbe potuto fargliela passare liscia.
Dalla sua cella di Canton Mombello, adesso, Fabrizio Pasini non riesce a trattenere le lacrime. Ripercorre in continuazione la sera in cui Manuela è morta (posto che non abbia agonizzato per ore): «Ho fatto una caz... enorme a non chiamare i soccorsi e il 112, lo so», si sfoga con il suo legale di fiducia, l’avvocato Pietro Paolo Pettenadu. «Ma quando ho visto il sangue sono andato nel panico». A quel punto — sempre secondo il suo racconto — Fabrizio avrebbe «dato per certo il fatto che fosse morta». Ma nel dubbio scende di corsa pure lui dai gradini fino a raggiungerla: «Mi sono avvicinato e ho cercato di sentirle il battito ma non c’era», dice. Il cuore, il suo, invece va a mille. «Non farmi questo ti prego, non andartene, resta qui» le sussurra e la chiama. Invano. Manuela non dà alcun segno.
É a quel punto che la cosa migliore sarebbe stata chiamare aiuto. E invece no. «Sono andato nel panico e ho perso la testa». Fabrizio sposta il corpo di Manuela e lo nasconde nella cantina attigua alla scala, per evitare che lo zio (il quale vive al piano di sopra) possa accorgersi di lei. È ormai notte fonda quando torna a casa, qualche chilometro più in là, dalla moglie e i due figli. Cerca di dormire.
Il giorno dopo, domenica 29, Pasini deve trovare una soluzione. Diversa dal raccontare la verità, naturalmente. E allora gli torna alla mente quel campo di granoturco sconfinato ad Azzanello, in provincia di Cremona, dove con gli amici gioca a Soft air (la guerra finta in mimetica con le pallottole di vernice colorata) e dove c’è una cascina grandissima, disabitata, utilizzata dai proprietari come rimessaggio per gli attrezzi e i mezzi agricoli. Fa un sopralluogo, non immagina che l’occhio elettronico della videosorveglianza urbana lo stia già immortalando. E lunedì pare in mattinata decide di portarla lì, Manuela, per occultarne il corpo. La carica a bordo della Opel Meriva di sua moglie — probabilmente pensando di restare più «anonimo» —, apre il cancello del casolare e percorre il lungo viale sterrato fino ad arrivare sul retro, vicino ai silos. Lì c’è una vasca per i liquami, ricoperta di lamiere arrugginite. Lì ci ripone Manuela. E aggiunge erbacce e sterpaglie affinché non la si noti. Lì accompagnerà il sostituto procuratore Carlo Milanesi e i carabinieri la notte tra domenica e lunedì scorsi, rientrato da due settimane di vacanza in Sardegna con la famiglia, dopo essere crollato e aver confessato l’omicidio di ventitrè giorni prima.
Improbabile si tratti di un delitto premeditato. I telefoni accesi (che quindi sono stati agganciati), la «trasferta» a casa dei genitori insieme a Manuela, il fatto di averne occultato il cadavere in una zona pur sperduta ma che chi lo conosce sa Fabrizio frequentasse. «Non volevo, non doveva finire così». Ma su una cosa non cede: «La storia con Manuela è finita nel settembre dello scorso anno». Nessun incontro intimo, insomma, dice. «Ma con lei stavo bene, mi piaceva parlare e confrontarmi». Manuela, però, pare di quest’uomo fosse ancora innamorata, nonostante non ne parlasse volentieri, anzi: anche all’amica più cara aveva nascosto questo legame, come chiesto da Fabrizio.
Pasini L’ho spinta ed è caduta dalle scale, ma non volevo: ho visto il sangue e mi sono avvicinato: il cuore non batteva
Mi piaceva parlare con lei, ma la nostra relazione è finita a settembre dell’anno scorso: non c’era più nulla tra di noi