Le malghe rinate
Aumentano gli addetti, si ringiovanisce il mondo degli allevatori e cresce la presenza femminile
«Il turismo approfitta dei bei pascoli, della cura del paesaggio da parte degli alpigiani e delle mucche al pascolo. … Tutte le persone con cui ho parlato dicono che la stagione degli alpeggi inizia una settimana prima, che la crescita dell’erba è aumentata e la vegetazione si sviluppa più velocemente. Elementi che si ripercuotono positivamente sulla produzione. Ma anche i cespugli e gli alberi crescono più velocemente: un fattore meno positivo». Sono parole di Felix Herzog, svizzero, agronomo ecologo e paesaggista agricolo di fama, ricercatore sul campo del progetto Alpfuturlink.
Con queste affermazioni si possono riassumere i pro e i contro della situazione degli alpeggi in Lombardia descritti in una relazione di Regione ed Ersaf (il braccio operativo della Regione per il comparto agro-forestale) da pochissimo pubblicata. Premessa: per alpeggio si intende l’insieme delle attività agricole svolte in montagna; per malga l’insieme organico e funzionale di terreni (pascoli, boschi, incolti) fabbricati e infrastrutture in genere. Il patrimonio silvopastorale di Regione Lombardia in capo ad Ersaf comprende 35 malghe per una superficie complessiva di 3.668 ettari inserite in 15 foreste. In provincia di Brescia quattro le foreste regionali interessate dagli alpeggi: Val Grigna, Vaia, Gardesana e Legnoli.
Delle 35 malghe ben 20 sono bresciane. Nell’insieme costituiscono un asset economico e sociale importante. La conferma dai dati: complessivamente nel 2017 (la stagione va dal 15 giugno al 15 settembre) tutte le malghe sono state regolarmente monticate e il numero delle aziende che hanno conferito il bestiame per l’alpeggio sono passate da 86 del 2016 a 112 del 2017. In provincia di Brescia i carichi maggiori si sono avuti nelle malghe che accolgono quote significative di bestiame asciutto (Vaia, Poffe, Rosello Val di Frà, Cappello) o con netta prevalenza di ovini (Stabil Fiorito, Cigoleto, Casinetto, Rosellino, Vesta di Cima).
Confortanti i numeri del personale di malga in quanto evidenziano un certo qual ritorno dei giovani e una ben visibile presenza femminile. Complessivamente — anno 2017 — 73 unità di cui 43 a tempo pieno e 30 a tempo parziale: 47 maschi, 23 femmine, 3 stranieri. Da considerare inoltre la presenza complessiva di 13 minori (9 maschi e 4 femmine). Confortante la suddivisione per classi di età che evidenzia uno svecchiamento degli addetti: 16 unità da 16 a 29 anni; 14 per la classe da 30 a 40; solo 6 unità oltre i 60 anni.
Per quanto concerne il bestiame (cresciuto rispetto al 2016) i bovini sono stati 1.113 (325 vacche), gli ovini 5.357 (contro 4.808), i caprini 990 (erano 1.226). La Bruna Italiana (613 capi) per i bovini e la Orobica (609 capi), fra gli ovini, sono le due razze che primeggiano numericamente. Non male la presenza — 146 capi — della Bionda dell’Adamello, l’iconica capra autoctona dell’Alta Valcamonica sulla via del definitivo salvataggio. Infine le produzioni di burro e formaggi: complessivi 13.478 kg di formaggi tra stagionato (8.540 kg), 3.368 kg di formaggelle e 1.570 kg di fresco; la ricotta ha toccato quota 1.145 kg e il burro 1.338.
Ciliegina sulla torta: Ersaf ha ufficializzato il riconoscimento di «Prodotto di Montagna» a “Alpe Casinetto di Cigoleto” (concessionario Dario Persico), comune di Bovegno, per formaggi, yogurt e insaccati e “Alpe Prato della Noce” e “Campei de Sima” (concessionario Fabio Ermes Baldassari), comune di Vobarno, per formaggi e insaccati. Sono attestate non solo le caratteristiche qualitative ma anche, aspetto molto importante per il consumatore, la provenienza «montagnina» certa.