Monsignor Tremolada e la scommessa del bene
RIFLESSIONI LA LETTERA «La santità è il volto più bello e più vero dell’umanità»
Dai divieti all’«orizzonte di bene». Dai precetti del vecchio catechismo alla proposta di una vita umana piena, bella, ricca di valori. Dal pulpito minaccioso all’accompagnamento della fragilità umana, all’esaltazione degli esempi positivi.
La chiesa universale, e quella bresciana con essa, muta strutturalmente l’atteggiamento verso i fedeli, cambia il linguaggio, aggiorna il modo di proporre il proprio messaggio millenario. Lo strumento utilizzato da papa Francesco è l’esortazione apostolica «Gaudete et exsultate». Quella del vescovo Pierantonio Tremolada è la lettera pastorale «Il bello del vivere. La santità dei volti e i volti della santità» che il vescovo ha presentato ieri ai sacerdoti diocesani nella giornata di apertura del tradizionale convegno del clero, ospitato dall’Istituto Paolo VI di Concesio.
Entrambi i testi — quello del Papa e quello del vescovo — sono incentrati sul tema della santità: una santità che scende dagli altari, si mescola con l’umano e si offre come traguardo per tutti, opportunità e impegno per ogni fedele come aveva già scritto san Giovanni Paolo II nella «Novo millennio ineunte».
Il vescovo Tremolada sottolinea la consonanza con il Papa e al tempo stesso l’autonomia dei due testi: «Ho preparato il mio all’indomani dell’annuncio della canonizzazione di Paolo VI, non sapendo che anche il Papa stava preparando un testo sulla santità».
Mons. Tremolada rimanda alla definizione che lui stesso traccia nella lettera. «La santità — scrive — è l’altro nome della vita quando la si guarda con gli occhi di Dio. Il Creatore, infatti, ci ha pensati così e questo si aspetta da noi. La santità è il volto buono dell’umanità, il suo lato più bello e più vero. È l’umanità che vorremmo sempre incontraprovoca re, che non ci fa paura, che, al contrario, ci rallegra, ci stupisce, ci commuove, ci attrae, ci conquista». L’aureola dei pittori non è che il riflesso di questa «luce che si irradia dal di dentro».
Il fascicolo che raccoglie la lettera pastorale offre anche alcuni volti e la possibilità di ascoltare, con una semplice app, le loro voci e le loro storie. Ieri è stata presentata quella di Giovanni Boccacci, sindacalista Cisl, volontario del Centro migranti, un grave lutto familiare alle spalle, un figlio adottato oggi 14enne. «Bisogna superare il senso di distanza che il nome santità — dice mons. Tremolada spiegando la scelta — i giovani la sentono come una parola che li giudica».
Il vescovo insiste poi su un punto: la santità di cui parla non è un concetto, «non è un tema» ma è «un orizzonte». Per tratteggiarlo compiutamente servono diversi elementi: la preghiera, la vita sacramentale, la carità, ma è sul primo punto — la preghiera — che l’anno pastorale che sta per iniziare farà perno.
Il pastore della Chiesa bresciana incoraggia il suo gregge e i suoi presbiteri a uno sguardo fiducioso: «Noi molto spesso parliamo del male: ma ci siamo mai chiesti perché esiste il bene? Ci siamo mai chiesti perché uno fa del bene? Perché dobbiamo farci soffocare dalla cappa del raccontare ciò che non va? Bisogna sentire il fascino del bene, inseparabile dal carico di bene che ha la bellezza».
In questo senso, per il vescovo, «la cosa più affascinante è il bene che gli uomini si scambiano: una madre con un figlio, un fratello e una sorella, un marito e una moglie, un’amicizia sincera, la vicinanza a un sofferente, a un morente. Nell’epoca delle passioni tristi — riassume mons. Tremolada — c’è bisogno di questa ansia di bellezza non passeggera».
Sul piano più strettamente pastorale mons. Tremolada ricorda che la sua lettera pone al centro «la dimensione vocazionale della vita», la preghiera a cui il vescovo chiama tutta la diocesi nella serata del venerdì, la valorizzazione delle figure dei santi, l’attenzione alle «famiglie ferite» ancora in attesa di una risposta dopo le aperture della «Amoris laetitia». Per finire, la figura di san Paolo VI: «Chiedo a tutti di approfondire il tema della santità di Paolo VI. Bisogna diffondere verso di lui la devozione popolare a partire dalla conoscenza. In questo senso l’Istituto Paolo VI dovrà aiutarci».
Una indicazione, sommessa ma ferma, che potrebbe assegnare all’Istituto di Concesio un nuovo mandato, un nuovo stile operativo, una nuova consegna. Impegnativa e popolare.
L’invadenza del male
Spesso parliamo del male, non dobbiamo farci soffocare dalla cappa del raccontare ciò che non va