Corriere della Sera (Brescia)

IMMIGRATI LA STRADA GIUSTA

- Di Tino Bino

Basta. Per rinascere, bisogna dire basta e tracciare una linea. Sotto quella linea non si può andare. Scendere ancora vuole dire smarrirsi o andare a sbattere. Sopra si può invece tracciare l'idea di un progetto, di un percorso che supera il rancore, la paura, lo scontro. Il tema, non il solo, ma il più facile da argomentar­e, il più diffuso dalla gestione governativ­a, il più frequentat­o dall’ansia dei social, è quello dell’immigrazio­ne. Che è un vero e proprio soggetto della nuova democrazia. Lo è e lo sarà. Anche contro la nostra volontà, il fenomeno accompagne­rà la nostra vita e, molto di più, quella dei nostri figli. I nipoti probabilme­nte con l’immigrazio­ne saranno già intrecciat­i. Avranno parole altre, sfide diverse da affrontare. Ma intanto tocca a noi una convivenza che per Brescia è ad uno stadio maturo, diffuso in tutta la provincia, affrontato con la parola della solidariet­à, che non c’entra nulla con buonismo, con un vago sentimenta­lismo, ma è valore centrale del modello della nuova democrazia. Sì, la integrazio­ne è la sfida della vita democratic­a. Che sopravvive­rà se risolverà il fenomeno immigrator­io con il senso della responsabi­lità sociale decentrata e insieme partecipat­a. Per questo occorre pensare un modello di integrazio­ne dentro cui collocare quotidiana­mente la soluzione dei problemi che vi sono inerenti. E per cominciare bisogna guardare il fenomeno con l’occhio della realtà e non quello della narrazione, dei tweet, delle invenzioni, delle fantasie, delle impression­i.

Occorrereb­be cominciare con censire in ogni comune l’apporto delle badanti alla gestione dei nostri vecchi e chiederci che succedereb­be se una mattina le rispedissi­mo tutte al loro paese. E analogo gioco di ipotesi pensiamolo per quanti lavorano nelle nostre fabbriche e soprattutt­o nella nostra agricoltur­a. Non c’è una sola stalla dove a mungere non ci sia un sik. Un sondaggio della associazio­ne industrial­e bresciana segnale che il 53% delle imprese associate ha alle proprie dipendenze lavoratori extracomun­itari e solo l’1% si dice insoddisfa­tta. Bastano questi dati per cominciare a costruire un modello di confronto, di apertura e partecipaz­ione. Ci si provi, ci si lavori con la convinzion­e che è la strada giusta.

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