AIB E DECRETO DIGNITÀ
Aib ha analizzato con rigore il «decreto dignità» sottolineandone i forti limiti. L’Associazione Industriale manifatturiera più rappresentativa d’Italia e forse d’Europa, ha ragione? Si, per una prima semplice motivazione di fondo che accoglie tutti i limiti principali di quel decreto: è una misura altamente recessiva, che disincentiva «insieme» investimenti, occupazione stabile e sana, fiducia. Dunque frena crescita e innovazione. In un momento critico, nel quale la spinta faticosa di uscita dalla crisi sembrava attenuarsi, quelle misure si rivelano intempestive oltre che anti-cicliche. La seconda motivazione, connaturata al bricolage incoerente delle misure incorporate dal «decreto dignità», è che mette mano all’architettura della «contrattazione collettiva» rendendola più che inefficace, inutile. E non è un bene per un paese frammentato come il nostro. Soprattutto di fronte agli accordi realizzati a marzo tra sindacato e imprese, che definivano un perimetro «sostenibile» di contrattazione che accompagnasse nella condivisione di rischi e opportunità un consolidamento di uscita dalla crisi. Che queste misure mettono gravemente a rischio, soprattutto dopo che si era vista la discesa a 1/6 dei contenziosi e che certo l’incremento del 50% degli indennizzi per «licenziamenti illegittimi» non aiuterà, come i limiti alle somministrazioni a termine o l’eccesso di rigidità sui rapporti tra delocalizzazioni e incentivi occupazionali.
La terza motivazione, del tutto ideologica, punta alla negazione del ruolo dei «corpi intermedi». È la negazione «per decreto» di una storia complessa, pensando che «per decreto», in automatico, si possano creare ricchezza e occupazione. Un maglio scaricato pesantemente sulla fiducia. Insimma, una formidabile torsione dei processi storici, economici e sociali di cui questo paese non aveva certo bisogno. E fanno bene gli imprenditori a pensare a forme di protesta civile davanti a manomissioni delle regole democratiche, di mercato e statuali.