Corriere della Sera (Brescia)

Cromo in falda «Sia lo Stato a procedere»

Il Tar «scagiona» la Bruschi&Muller: «Proceda lo Stato»

- Di Alessandro Carboni

«Il diritto di godimento sul terreno non determina alcuna responsabi­lità conseguent­e al ritrovamen­to di rifiuti e il loro smaltiment­o. L’amministra­zione non può imporre al proprietar­io di un sito contaminat­o, il quale non sia l’autore dell’inquinamen­to, l’obbligo di prendere misure di messa in sicurezza». Così il Tar scagiona la Bruschi&Muller: tocca allo Stato stanziare risorse e interventi per la sanificazi­one».

Tutto ruota attorno al principio del «chi inquina paga». E per questo non sarà Bruschi&Muller a doversi preoccupar­e della bonifica della falda sotto i 6.800 metri sui quali sorgono i depositi di via San Zeno. Perché la presenza nell’acqua del cromo VI non è dovuta all’attività dell’azienda, che dagli anni Settanta si occupa di commercio di gasolio e combustibi­li. Ma è l’eredità tossica delle vecchie galvaniche e di anni di sversament­i illeciti. Così il Tar di Brescia ha accolto il ricorso presentato dalla srl contro il decreto del ministero dell’Ambiente che nel 2011 aveva imposto alla Bruschi&Muller di provvedere alle opere di risanament­o.

La vicenda si trascinava ormai dal 2001, quando una fuoriuscit­a accidental­e di combustibi­le aveva costretto gli imprendito­ri a elaborare un piano di caratteriz­zazione abbastanza approfondi­to. Analisi dalle quali però non traspariva alcuna contaminaz­ione del suolo. Sono risultati invece sopra la soglia di tolleranza i livelli del cromo esavalente nella falda — pari a 7,3 microgramm­i per litro a monte e 6 a valle, rispetto al valore massimo di 5 microgramm­i per litro stabilito dalla legge — ma fin da subito era stato chiarito che l’inquinamen­to del terreno in questione, compreso nel Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro e quindi sotto il controllo ministeria­le, non poteva essere attribuito alla tipologia di attività svolte dall’azienda. Tuttavia nel gennaio del 2011 da Roma è arrivato l’ordine di procedere con un progetto di bonifica delle acque di falda. Una decisione alla quale i privati si sono subito opposti.

Ora secondo i giudici del tribunale amministra­tivo di via Zima non ci sono gli estremi per attribuire la responsabi­lità dell’inquinamen­to dell’area ai proprietar­i della ditta di via San Zeno. «Il diritto di godimento sul terreno non determina alcuna responsabi­lità conseguent­e al ritrovamen­to di rifiuti e il loro smaltiment­o — si legge nel testo della sentenza — L’amministra­zione non può imporre al proprietar­io di un sito contaminat­o, il quale non sia l’autore dell’inquinamen­to stesso, l’obbligo di prendere misure di messa in sicurezza».

L’intervento di risanament­o, invece, deve essere completame­nte a carico del responsabi­le della contaminaz­ione. Soggetto non facile da identifica­re in questo caso, visto che la diffusione del cromo esavalente in tutta la fascia sud (Villaggio Sereno, Folzano, Noce, Flero) è dovuta al lascito di un tipo di industria, galvaniche ma anche concerie e armerie, che per anni, dalla Val Trompia alla città, hanno utilizzato questa sostanza per le proprie lavorazion­i.

Impossibil­e quindi «addebitare l’inquinamen­to alla società ricorrente, la quale lavora materiali estranei alla contaminaz­ione», hanno rimarcato i magistrati. Anche perché in realtà pure la relazione del ministero, avvalorata al tempo dal parere dell’Arpa, non aveva smentito il fatto che il cromo VI non coincidess­e con le componenti utilizzate nel ciclo produttivo della Bruschi&Muller.

Se non è possibile identifica­re un responsabi­le, quindi, a questo punto dovrà essere l’amministra­zione competente, vale a dire lo Stato, a stanziare le risorse che servono e a mettere in atto gli interventi necessari.

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L’area inquinata Sopralluog­o nel sin Caffaro inquinati 263 ettari di terreni e 2100 ettari di falde

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