Cromo in falda «Sia lo Stato a procedere»
Il Tar «scagiona» la Bruschi&Muller: «Proceda lo Stato»
«Il diritto di godimento sul terreno non determina alcuna responsabilità conseguente al ritrovamento di rifiuti e il loro smaltimento. L’amministrazione non può imporre al proprietario di un sito contaminato, il quale non sia l’autore dell’inquinamento, l’obbligo di prendere misure di messa in sicurezza». Così il Tar scagiona la Bruschi&Muller: tocca allo Stato stanziare risorse e interventi per la sanificazione».
Tutto ruota attorno al principio del «chi inquina paga». E per questo non sarà Bruschi&Muller a doversi preoccupare della bonifica della falda sotto i 6.800 metri sui quali sorgono i depositi di via San Zeno. Perché la presenza nell’acqua del cromo VI non è dovuta all’attività dell’azienda, che dagli anni Settanta si occupa di commercio di gasolio e combustibili. Ma è l’eredità tossica delle vecchie galvaniche e di anni di sversamenti illeciti. Così il Tar di Brescia ha accolto il ricorso presentato dalla srl contro il decreto del ministero dell’Ambiente che nel 2011 aveva imposto alla Bruschi&Muller di provvedere alle opere di risanamento.
La vicenda si trascinava ormai dal 2001, quando una fuoriuscita accidentale di combustibile aveva costretto gli imprenditori a elaborare un piano di caratterizzazione abbastanza approfondito. Analisi dalle quali però non traspariva alcuna contaminazione del suolo. Sono risultati invece sopra la soglia di tolleranza i livelli del cromo esavalente nella falda — pari a 7,3 microgrammi per litro a monte e 6 a valle, rispetto al valore massimo di 5 microgrammi per litro stabilito dalla legge — ma fin da subito era stato chiarito che l’inquinamento del terreno in questione, compreso nel Sito di interesse nazionale Brescia-Caffaro e quindi sotto il controllo ministeriale, non poteva essere attribuito alla tipologia di attività svolte dall’azienda. Tuttavia nel gennaio del 2011 da Roma è arrivato l’ordine di procedere con un progetto di bonifica delle acque di falda. Una decisione alla quale i privati si sono subito opposti.
Ora secondo i giudici del tribunale amministrativo di via Zima non ci sono gli estremi per attribuire la responsabilità dell’inquinamento dell’area ai proprietari della ditta di via San Zeno. «Il diritto di godimento sul terreno non determina alcuna responsabilità conseguente al ritrovamento di rifiuti e il loro smaltimento — si legge nel testo della sentenza — L’amministrazione non può imporre al proprietario di un sito contaminato, il quale non sia l’autore dell’inquinamento stesso, l’obbligo di prendere misure di messa in sicurezza».
L’intervento di risanamento, invece, deve essere completamente a carico del responsabile della contaminazione. Soggetto non facile da identificare in questo caso, visto che la diffusione del cromo esavalente in tutta la fascia sud (Villaggio Sereno, Folzano, Noce, Flero) è dovuta al lascito di un tipo di industria, galvaniche ma anche concerie e armerie, che per anni, dalla Val Trompia alla città, hanno utilizzato questa sostanza per le proprie lavorazioni.
Impossibile quindi «addebitare l’inquinamento alla società ricorrente, la quale lavora materiali estranei alla contaminazione», hanno rimarcato i magistrati. Anche perché in realtà pure la relazione del ministero, avvalorata al tempo dal parere dell’Arpa, non aveva smentito il fatto che il cromo VI non coincidesse con le componenti utilizzate nel ciclo produttivo della Bruschi&Muller.
Se non è possibile identificare un responsabile, quindi, a questo punto dovrà essere l’amministrazione competente, vale a dire lo Stato, a stanziare le risorse che servono e a mettere in atto gli interventi necessari.