Famolo strano
Anticonformista vero e insofferente al romanticismo, Auroro Borealo porterà pezzi «sghembi» in Latteria
«Sono quindici anni che faccio musica strana». Esordisce così Auroro Borealo, moniker scelto da Francesco Roggero per incarnare le parti dell’interprete e assiduo frequentatore della musica di cattivo gusto. Legato a Brescia per nascita e per via della brigata a seguito, Borealo, che a novembre terrà un concerto in Latteria Molloy, ha dalla sua un percorso da sempre rivolto alla valorizzazione delle cose «sghembe». Prima il progetto Da rozzo criù, poi il breve periodo con il Culo di Mario. In parallelo, l’eterno aggiornamento in qualità di caporedattore di Orrore a 33 giri, webzine rivolta alla ricerca delle stranezze della musica pop italiana e degli orrori impressi sui vinili. «Ho una passione per la musica diversamente bella — dice — dalla rivisitazione in chiave assurda di cover famose a pezzi inediti. La scelta di fare musica strana nasce dall’esigenza di differenziarsi dalla maggior parte della musica italiana che principalmente scrive canzoni d’amore. Ci tengo a dire che non ho nulla contro, ma mi annoia. Mi interessa parlare di altro: trentenni, gentrificazione, comfort food. Mi sono detto, non lo fa nessuno? Lo faccio io».
È nato così l’album Sappi che ti ho sempre voluto bene?
«Sì, pressappoco. È un insieme di idee. Il pezzo Trentenni pelati, ad esempio, è nato dopo aver letto la stessa scritta in piazza Arnaldo che sintetizza un po’ la mia idea per cui i giovani di oggi sono i nuovi vecchi e viceversa».
Si può dire che una vera svolta sia arrivata col singolo Villano…
«È una sorta di canzone punk. Ho pensato che sarebbe stato interessante se ad interpretarla ci fossero stati dei rappresentati della generazione nata ancora prima del punk. Quindi ho chiesto ai genitori di alcuni miei amici e a mia mamma di suonare in playback sulla canzone e il video è diventato virale. Abbiamo suonato al Miami con tutti e da lì si sono mosse proposte per un tour appena partito».
In scaletta ci sarà anche la cover di A chi mi dice dei Blue?
«Certamente, fa parte della mia ricerca di recupero dei pezzi passati e dell’idea che a volte sono più interessanti i cloni e i modelli non riusciti rispetto l’originale perché restituiscono il senso dell’epoca».
Sembra che 15 anni di musica non abbiano alterato il tuo stile…
«Finora hanno vinto le idee. So che gran parte del pubblico ha bisogno di storie d’amore, ma c’è una questione di onestà intellettuale. Io non parlo ai ragazzini e se lo facessi farei lo farei in modo diverso. Vorrei fare musica con la stessa autonomia di Conte. Ha sempre fatto quello che voleva, senza rendere conto a nessuno se non a se stesso».