Cottarelli, arrestato Vito Marino
Era nascosto in un ovile, nelle campagne della sua Trapani. Ieri gli uomini dello Sco della polizia e della squadra Mobile trapanese hanno arrestato Vito Marino, 52 anni, latitante dopo la condanna definitiva della Cassazione all’ergastolo per la strage di via Zuaboni, l’omicidio di Angelo Cottarelli, della moglie Marzenna e del figlio Luca di soli 17 anni di 12 anni fa. Marino, già latitante tra il 2010 e il 2011 (prima del primo ergastolo in secondo grado): fu trovato anche in quell’occasione nelle campagne della sua terra. Per il cugino Salvatore Marino (la sua condanna all’ergastolo è stata annullata dalla Cassazione) ed è già fissato un nuovo appello (il quarto) a gennaio, fino a quell’epoca è libero. In carcere sta scontando la condanna a 20 anni Dino Grusovin, anche lui presente nella villetta della famiglia Cottarelli la mattina del triplice omicidio.
Nel marzo 2016, mentre a Milano si celebrava il terzo processo d’appello che vedeva imputati lui e il cugino Salvatore, ci disse che non ne poteva più. Già. «Sono stati dieci anni d’inferno, solo noi sappiamo ciò che abbiamo passato». Si accese una sigaretta sul ballatoio del palazzo e cercò di sdrammatizzare. Prima di aggiungere che «con questa storia noi non c’entriamo nulla». Ma due mesi dopo, il 30 maggio, arrivò la conferma in appello: ergastolo a Vito e Salvatore Marino per la strage di Urago Mella. Era il 28 agosto 2006: nella taverna della loro villa di via Zuaboni, furono sterminati Angelo Cottarelli, la moglie Marzenna Topor e il figlio Luca, 17 anni appena. Questioni di affari, non troppo puliti.
Da lì, però, iniziò la latitanza dei due cugini di Paceco. Sparirono nel nulla. Per uno di loro, Vito, 52 anni la fuga è terminata ieri mattina nelle campagne del Trapanese. L’hanno arrestato gli uomini del Servizio Centrale operativo della Polizia, insieme ai colleghi della squadra Mobile di Trapani e Palermo, coordinati dal capo della Dda di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido. E per lui si apriranno le porte del carcere.
Originario di Paceco, a undici anni dalla strage e dopo un iter giudiziario che sembrava interminabile, il 5 ottobre scorso è stato condannato all’ergastolo in via definitiva dalla Cassazione, a differenza del cugino, per il quale gli Ermellini hanno annullato con rinvio a un quarto processo d’appello in gennaio (quindi anche l’ordinanza di custodia cautelare, emanata contestualmente e che decise di non rispettare).
Figlio di Girolamo — detto «Mommo ´u nano» — considerato un elemento di spicco di Cosa Nostra trapanese e ucciso dal boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro nel lontano 1986, Vito è stato intercettato dalle forze dell’ordine in un ovile nei terreni di Vita, un paesino in provincia di Trapani. La sua Trapani. No, non era oltreconfine, nemmeno stavolta. Perché si era già reso latitante tra il 2010 e il 2011 (prima del primo ergastolo in secondo grado): fu trovato nelle campagne di Fulgatore. Salvatore, invece, lo intercettarono in Spagna, a Tenerife.
Stavolta, «l’abbiamo preso mentre dormiva sul divano nell’ovile. Abbiamo fatto irruzione in trenta uomini», racconta il capo della Squadra Mobile di Trapani, Fabrizio Mustaro. Camicia e maglioncino blu, barba non troppo incolta, non si è ribellato, Vito: «Non ha opposto resistenza». Sul tavolo di fronte al sofà verde, bottiglie di acqua, cibo, una torcia. Si è stropicciato gli occhi e ha scansato le coperte, si è sistemato maglia e pantaloni e ha allungato i polsi per farsi mettere le manette. Con sé non aveva armi né telefoni cellulari. Ma il maxi blitz non è stato semplice, anzi. «È stata un’operazione complessa, durata circa un anno, e che abbiamo portato avanti grazie all’aiuto della polizia Scientifica».
Per individuarlo, senza destare ovviamente sospetti, i poliziotti, oltre a mimetizzarsi, hanno utilizzato sofisticatissime apparecchiature tecnologiche: «Lui è stato molto cauto e attento. Noi di più», ha detto Mustaro. Perché quello di Vito Marino è un nome che pesa, nella zona. E che gode di protezione non indifferente. «Riteniamo abbia trascorso buona parte della sua latitanza proprio qui, nel trapanese, un territorio dove ha potuto contare sui necessari appoggi». In manette, non a caso, è finito anche il proprietario dell’ovile in cui era nascosto, Gaspare Simone, un pastore pluripregiudicato. A firmare l’ordine d’arresto per Marino era stata la procura generale di Milano dopo la condanna all’ergastolo, «Gaspare adesso rischia una condanna fino a cinque anni per procurata inosservanza di pena. Favoreggiamento».
Vito Marino «non aveva a suo carico specifiche accuse di mafia, ma si muoveva in un contesto mafioso, ragione per cui abbiamo esteso le indagini anche su questo versante», ha tenuto a precisare Alessandro Giuliano, capo dello Sco, commentando l’arresto del latitante.
All’appello manca il cugino, Salvatore. L’unico che già sta scontando la sua pena, 20 anni in via definitiva nel 2015 per la strage di Urago Mella, è Dino Grusovin: 63 anni compiuti a febbraio, grande accusatore dei cugini di Paceco, ha sempre sostenuto di esserci stato, a casa Cottarelli, ma di non aver partecipato alla strage perchè venne legato al tavolo della cucina. Fu arrestato il 14 dicembre 2013 a Chiasso (dove viveva sotto falso nome «Werther Gruss») anche lui era scappato. Ma «Alla fine sto pagando solo io e per un delitto che non ho commesso», si sfogò. No, adesso non è l’unico.