Abusi su minore Una condanna
Lei, 16 anni, ha raccontato degli incontri hard. Lui, 49, ha negato di averne mai avuti, perché di quella ragazzina (di cui dice di non sapere l’età) voleva essere amico. Ma i giudici l’hanno condannato per prostituzione minorile.
Lui ha sempre negato qualsiasi tipo di incontro hard — al Freccia Rossa e in altri centri commerciali — con quella ragazzina 16enne di origini nigeriane, «conosciuta per caso mentre ero in bicicletta» in zona via Volta. Tantomeno rapporti sessuali a pagamento. Lei, invece, prima al pm e poi in aula ha raccontato di quattro incontri «intimi», in casa. Al termine del processo in dibattimento davanti alla prima sezione penale, il presidente Roberto Spanò ha condannato a un anno e sei mesi un libero professionista bresciano di 49 anni con l’accusa di prostituzione minorile. Ma anche per aver tentato di commercializzare farmaci (Viagra e simili), nonostante anche in questo caso l’imputato abbia spiegato «di aver sbagliato i quantitativi dell’ordine, e sì, ho cercato di darne agli amici (tre chiamati alla sbarra si sono detti ignari della questione: «Mai saputo nulla nè ricevuto proposte di acquistare pastiglie») ma alla fine non ci sono riuscito»: già, perché le confezioni gli sono state sequestrate prima dalla polizia giudiziaria.
La pena supera le istanze del sostituto procuratore, che aveva chiesto un anno e due mesi, precisando come le dichiarazioni del 49enne «non meritino tanto pregio». E non perché un imputato, in quanto tale, ha facoltà di mentire quindi lo farà a prescindere, ma — in relazione agli atti sessuali con una minorenne — «perché se vedi una ragazzina, per quanto possa dimostrare più anni di quanti ne abbia realmente, il principio di precauzione ti deve indurre ad astenerti da qualsiasi rapporto sessuale. Non importa nemmeno se lei sul suo anno di nascita ha mentito, non sposta di una virgola il problema: tu hai accettato il rischio di commettere un reato. Il che prova la responsabilità penale».
Di tutt’altro avviso l’avvocato difensore Giovanni Boso, che ha chiesto l’assoluzione e che proprio in relazione alla «prova» in grado di dimostrare la colpevolezza del suo assistito, dopo aver premesso che «non c’è stato alcun rapporto sessuale», ha puntato sulla presunta inattendibilità della parte offesa. Definendo «plurime e gravi» le contraddizioni nel suo racconto, nel quale «la ragazzina ha addirittura accusato una compagna di classe di aver organizzato gli incontri con gli uomini per lei: mi chiedo — ha insistito il legale — se davvero le si debba dare credito». E ancora: prima avrebbe raccontato degli incontri a casa dell’imputato, poi invece nel suo appartamento. Non solo, «sarebbe stata lei a cercarlo, quando aveva bisogno di soldi: fosse stato un assatanato cacciatore di minorenni avrebbe risposto subito e colto la palla al balzo. E invece no. Il mio assistito è l’unico che ci teneva realmente ad avere un legame con questa ragazza in tutta la banda di depravati che la frequentava. Ma non ci sono prove dei rapporti sessuali, nè della consapevolezza della sua età». Non per i giudici.
L’inchiesta risale a oltre due anni fa e a innescarla fu il grido di una mamma: «Credo che mia figlia si prostituisca, ma non so come dimostrarlo» disse la signora, madre di una ragazzina di 15 anni, che si rivolse agli agenti di polizia provinciale affinché la aiutassero a capire perché la figlia «esce di casa al mattino e torna di notte, spesso a scuola non ci va nemmeno». E in un paio di casi notò che a riaccompagnarla era un uomo sulla settantina (che dalle indagini è uscito pulito). Da lì gli accertamenti, i colloqui con gli insegnanti e gli appostamenti al Freccia Rossa, dove alcune ragazzine tra i 15 e i 16 anni che frequentavano un istituto professionale in città si sarebbero prostituite anche nei parcheggi e nei sotterranei. Uno dei presunti clienti è stato condannato.