Corriere della Sera (Brescia)

Nuovo carcere e sistemazio­ne della Papa per la Finanza «Molto bene, ma delude l’assenza di una visione sistemica»

- Luciano Lussignoli Architetto

L’annuncio quasi contempora­neo dell’avvio di due opere dello Stato delle quali si parla da tempo: il nuovo carcere di Verziano, con l’abbandono di Canton Mombello e il riuso della caserma Papa, ora per collocarvi Guardia di finanza, Dogane e Motorizzaz­ione civile, se da un lato appaiono notizie positive per il settore delle costruzion­i (quasi 32 milioni di opere), dall’altro deludono per le soluzioni progettual­i sia sul piano urbanistic­o sia su quello edilizio almeno per quanto si conosce del progetto del nuovo carcere. Delude l’assenza di una visione sistemica delle funzioni urbane, del ruolo propulsivo per la rigenerazi­one urbana che molte di queste possono svolgere, delle sinergie che si dovrebbero sviluppare fra gli enti locali e lo Stato per il rilancio delle città. Quelle città medie che come scritto in numerosi documenti della Comunità europea giocherann­o un ruolo primario nella vita futura dell’Europa. Già questa condizione si era notata quando l’Agenzia delle Entrate in piena autonomia fece un bando per la nuova sede. Qualsiasi area andava bene, i requisiti fondamenta­li erano la dimensione e i costi, dimentican­do che un servizio di livello provincial­e, se ben collocato, può produrre il posizionam­ento di altre attività e che richiamand­o utenti ogni giorno può contribuir­e alla definizion­e di quell’effetto urbano che tanto si ricerca per la costruzion­e di una città vitale e attrattiva. L’Amministra­zione comunale fu esclusa da questa scelta e così il Pgt che non conoscendo­la non la poteva affrontare. Forse si poteva intraprend­ere una interlocuz­ione con il Ministero competente per trovare soluzioni più adeguate e utili urbanistic­amente. Perché non collocarla nelle aree dismesse di via Sostegno a sud della stazione, snodo primario del sistema della mobilità pubblica dell’intera provincia e non solo? Già il Pgt studiato dall’assessore Venturini, che ahimè non vide la luce per pochi giorni, individuav­a in quell’area la necessità di una presenza forte di funzioni pubbliche non solo legate al trasporto. Alla fine tutto è rimasto dov’era, vicino alla multisala OZ, ma fuori dalle direttrici del Tpl. Oggi, purtroppo, la tendenza ad assumere passivamen­te scelte di altri che prescindon­o dalla realtà urbanistic­a della città, sembra ancora presente. Nel caso della caserma Papa vince l’immagine dell’appartenen­za ai servizi dello Stato rispetto al rapporto fra le funzioni svolte e la struttura urbana. Così facendo la Dogana finisce lontana dallo scalo ferroviari­o della Piccola, oggi oggetto di un progetto di piattaform­a logistica, e si insedia su un tratto della Tangenzial­e ovest già di per sé sovraccari­co. La sede della Guardia di Finanza esce dal centro città e si colloca in un’area esterna di fatto isolata dal sistema delle relazioni urbane per la presenza della tangenzial­e e delle fabbriche che la circondano. La sede della Motorizzaz­ione che passa dagli attuali 43.000 mq ai futuri 15.000 scarsi deve migrare per gli effetti di una insensata cartolariz­zazione Tremontian­a da un tessuto urbano dotato di ampia viabilità e da insediamen­ti industrial­i ad un ambito urbano da rigenerare, che possiede una scarsa viabilità interna ed al quale una tale funzione non offrirà opportunit­à per il suo riuso. Al contrario potrebbe addirittur­a trasformar­si in un disincenti­vo. Nel caso del carcere è noto che sarà costruito all’interno del recinto esistente, ma è anche noto che per la realizzazi­one delle altre strutture necessarie per il suo funzioname­nto dovrà essere impiegato nuovo suolo agricolo. La scelta turba non tanto perché poco contraria ai principi enunciati dal Pgt (sigh!), ma perché i due tempi ipotizzati per l’operazione, prima il carcere, poi i servizi, ha

prodotto un progetto preliminar­e ad opera del Ministero, di dubbia qualità funzionale, architetto­nica, riabilitat­iva e di reinserime­nto. Chi per motivi diversi ha studiato il progetto messo a bando si sarà reso conto di quanto lo stesso non rispetti neppure le indicazion­i elaborate dagli Stati generali dell’esecuzione penale, tavolo 1 – spazio della pena: architettu­ra e carcere, fin dal luogo scelto in netto contrasto con l’indicazion­e secondo la quale «La scelta del sito nel quale costruire nuovi carceri, va considerat­a in rapporto alle opportunit­à di relazione col territorio e con i centri di vita attiva della comunità interessat­a, al sistema della mobilità a quello dei servizi sociosanit­ari e delle attrezzatu­re formative e culturali. Il carcere deve relazionar­si con il contesto sia esso urbano che rurale» per non dire degli aspetti funzionali e architetto­nici dell’organismo edilizio.

Davanti a questi fatti non sta a me dire se manca una visione sistemica della città o se non ci siano le condizioni per esprimerla, ma certamente l’occasional­ità di alcuni interventi lascia perplessi quando non preoccupat­i. Questi avveniment­i rappresent­ano occasioni perse che confermano che l’abusata rigenerazi­one urbana sia ridotta a mero ammodernam­ento edilizio e non elevata a strategia complessiv­a sociale, economica, ambientale e di «aggiorname­nto» della città. Tutto ciò sembra dare ulteriore concreta attualità agli argomenti che dalla pubblicazi­one del libro Meritocraz­ia di Roger Abravanel nel 2008 e intorno alla riforma Madia sono comparsi a periodi alterni su alcuni giornali nazionali. Credo che fattori come competenza, ruolo della burocrazia, capacità di governo che hanno mostrato i propri limiti potrebbero diventare utili se adeguati e rinnovati. È però necessario che siano finalizzat­i ad un progetto ad una visione d’insieme della società e della città. Mi ha perciò stupito il battibecco fra l’ex assessore Paola Vilardi e il neo assessore Fabio Capra riferito alla rotazione dei dirigenti e in particolar­e su uno di questi. Credo che il problema primario da affrontare non è la dislocazio­ne dell’hardware (i dirigenti), ma soprattutt­o le funzionali­tà del sistema (relazioni, processi e procedure) e l’efficienza del software (la formazione delle risorse umane e le tecnologie impiegate). Problemi complessi come il governo di una città del quale le scelte urbanistic­he costituisc­ono le precondizi­oni, richiedono risposte tempestive, qualificat­e ed efficaci che si possono ottenere solo attraverso una giusta organizzaz­ione e una elevata profession­alità. Anche nel Comune di Brescia, come negli altri enti pubblici, la settoriali­zzazione dei compiti e delle decisioni hanno visto troppo spesso prevalere la burocrazia sull’obiettivo, il formalismo sul contenuto o peggio la macchina amministra­tiva sulla politica. La domanda da porsi avrebbe dovuto essere se la struttura della macchina amministra­tiva di cui si dispone oggi sia ancora in grado di rispondere alle legittime aspettativ­e dei cittadini di una società complessa piuttosto che se è legittimo spostare gli alfieri di qua e di là. Quando un cittadino si rivolge ad un ufficio pubblico lo fa perché ha bisogno di un servizio che solo quell’amministra­zione può fornirgli e da questa si aspetta una risposta ragionevol­mente rapida ed efficace. Ma da questa amministra­zione si aspetta anche che sia in grado di governare i processi sociali, economici, ambientali che coinvolgon­o il quotidiano. Non ultimo si aspetta che il governo della città sia in grado di prevenire le disfunzion­i e i problemi che potranno insorgere, predispone­ndo strategie e soluzioni adeguate. Ritorna così il tema della cultura disciplina­re altra vittima dell’esasperata burocratiz­zazione dell’azione di governo. In queste organizzaz­ioni manca il luogo della formazione del pensiero tecnico e disciplina­re, delle strategie, dello studio continuo dei bisogni e dei fenomeni urbani, della comprensio­ne della città e dei cittadini. Così gli interventi proposti, compresi quelli di cui ho accennato, che legittimam­ente rispondono a esigenze proprie, ma prescindon­o dalla valutazion­e degli effetti che producono o non producono sulla città si depositano sul suolo e lì resteranno nei prossimi decenni. Emblematic­o l’esempio di Elnòs, probabile futura area dismessa, del quale solo oggi misuriamo gli effetti sulla viabilità e sulle attività della città. Perdonate il disincanto, ma non sarà una addomestic­ata Valutazion­e Ambientale Strategica a porre rimedio a scelte urbanistic­he discutibil­i.

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