Nuovo carcere e sistemazione della Papa per la Finanza «Molto bene, ma delude l’assenza di una visione sistemica»
L’annuncio quasi contemporaneo dell’avvio di due opere dello Stato delle quali si parla da tempo: il nuovo carcere di Verziano, con l’abbandono di Canton Mombello e il riuso della caserma Papa, ora per collocarvi Guardia di finanza, Dogane e Motorizzazione civile, se da un lato appaiono notizie positive per il settore delle costruzioni (quasi 32 milioni di opere), dall’altro deludono per le soluzioni progettuali sia sul piano urbanistico sia su quello edilizio almeno per quanto si conosce del progetto del nuovo carcere. Delude l’assenza di una visione sistemica delle funzioni urbane, del ruolo propulsivo per la rigenerazione urbana che molte di queste possono svolgere, delle sinergie che si dovrebbero sviluppare fra gli enti locali e lo Stato per il rilancio delle città. Quelle città medie che come scritto in numerosi documenti della Comunità europea giocheranno un ruolo primario nella vita futura dell’Europa. Già questa condizione si era notata quando l’Agenzia delle Entrate in piena autonomia fece un bando per la nuova sede. Qualsiasi area andava bene, i requisiti fondamentali erano la dimensione e i costi, dimenticando che un servizio di livello provinciale, se ben collocato, può produrre il posizionamento di altre attività e che richiamando utenti ogni giorno può contribuire alla definizione di quell’effetto urbano che tanto si ricerca per la costruzione di una città vitale e attrattiva. L’Amministrazione comunale fu esclusa da questa scelta e così il Pgt che non conoscendola non la poteva affrontare. Forse si poteva intraprendere una interlocuzione con il Ministero competente per trovare soluzioni più adeguate e utili urbanisticamente. Perché non collocarla nelle aree dismesse di via Sostegno a sud della stazione, snodo primario del sistema della mobilità pubblica dell’intera provincia e non solo? Già il Pgt studiato dall’assessore Venturini, che ahimè non vide la luce per pochi giorni, individuava in quell’area la necessità di una presenza forte di funzioni pubbliche non solo legate al trasporto. Alla fine tutto è rimasto dov’era, vicino alla multisala OZ, ma fuori dalle direttrici del Tpl. Oggi, purtroppo, la tendenza ad assumere passivamente scelte di altri che prescindono dalla realtà urbanistica della città, sembra ancora presente. Nel caso della caserma Papa vince l’immagine dell’appartenenza ai servizi dello Stato rispetto al rapporto fra le funzioni svolte e la struttura urbana. Così facendo la Dogana finisce lontana dallo scalo ferroviario della Piccola, oggi oggetto di un progetto di piattaforma logistica, e si insedia su un tratto della Tangenziale ovest già di per sé sovraccarico. La sede della Guardia di Finanza esce dal centro città e si colloca in un’area esterna di fatto isolata dal sistema delle relazioni urbane per la presenza della tangenziale e delle fabbriche che la circondano. La sede della Motorizzazione che passa dagli attuali 43.000 mq ai futuri 15.000 scarsi deve migrare per gli effetti di una insensata cartolarizzazione Tremontiana da un tessuto urbano dotato di ampia viabilità e da insediamenti industriali ad un ambito urbano da rigenerare, che possiede una scarsa viabilità interna ed al quale una tale funzione non offrirà opportunità per il suo riuso. Al contrario potrebbe addirittura trasformarsi in un disincentivo. Nel caso del carcere è noto che sarà costruito all’interno del recinto esistente, ma è anche noto che per la realizzazione delle altre strutture necessarie per il suo funzionamento dovrà essere impiegato nuovo suolo agricolo. La scelta turba non tanto perché poco contraria ai principi enunciati dal Pgt (sigh!), ma perché i due tempi ipotizzati per l’operazione, prima il carcere, poi i servizi, ha
prodotto un progetto preliminare ad opera del Ministero, di dubbia qualità funzionale, architettonica, riabilitativa e di reinserimento. Chi per motivi diversi ha studiato il progetto messo a bando si sarà reso conto di quanto lo stesso non rispetti neppure le indicazioni elaborate dagli Stati generali dell’esecuzione penale, tavolo 1 – spazio della pena: architettura e carcere, fin dal luogo scelto in netto contrasto con l’indicazione secondo la quale «La scelta del sito nel quale costruire nuovi carceri, va considerata in rapporto alle opportunità di relazione col territorio e con i centri di vita attiva della comunità interessata, al sistema della mobilità a quello dei servizi sociosanitari e delle attrezzature formative e culturali. Il carcere deve relazionarsi con il contesto sia esso urbano che rurale» per non dire degli aspetti funzionali e architettonici dell’organismo edilizio.
Davanti a questi fatti non sta a me dire se manca una visione sistemica della città o se non ci siano le condizioni per esprimerla, ma certamente l’occasionalità di alcuni interventi lascia perplessi quando non preoccupati. Questi avvenimenti rappresentano occasioni perse che confermano che l’abusata rigenerazione urbana sia ridotta a mero ammodernamento edilizio e non elevata a strategia complessiva sociale, economica, ambientale e di «aggiornamento» della città. Tutto ciò sembra dare ulteriore concreta attualità agli argomenti che dalla pubblicazione del libro Meritocrazia di Roger Abravanel nel 2008 e intorno alla riforma Madia sono comparsi a periodi alterni su alcuni giornali nazionali. Credo che fattori come competenza, ruolo della burocrazia, capacità di governo che hanno mostrato i propri limiti potrebbero diventare utili se adeguati e rinnovati. È però necessario che siano finalizzati ad un progetto ad una visione d’insieme della società e della città. Mi ha perciò stupito il battibecco fra l’ex assessore Paola Vilardi e il neo assessore Fabio Capra riferito alla rotazione dei dirigenti e in particolare su uno di questi. Credo che il problema primario da affrontare non è la dislocazione dell’hardware (i dirigenti), ma soprattutto le funzionalità del sistema (relazioni, processi e procedure) e l’efficienza del software (la formazione delle risorse umane e le tecnologie impiegate). Problemi complessi come il governo di una città del quale le scelte urbanistiche costituiscono le precondizioni, richiedono risposte tempestive, qualificate ed efficaci che si possono ottenere solo attraverso una giusta organizzazione e una elevata professionalità. Anche nel Comune di Brescia, come negli altri enti pubblici, la settorializzazione dei compiti e delle decisioni hanno visto troppo spesso prevalere la burocrazia sull’obiettivo, il formalismo sul contenuto o peggio la macchina amministrativa sulla politica. La domanda da porsi avrebbe dovuto essere se la struttura della macchina amministrativa di cui si dispone oggi sia ancora in grado di rispondere alle legittime aspettative dei cittadini di una società complessa piuttosto che se è legittimo spostare gli alfieri di qua e di là. Quando un cittadino si rivolge ad un ufficio pubblico lo fa perché ha bisogno di un servizio che solo quell’amministrazione può fornirgli e da questa si aspetta una risposta ragionevolmente rapida ed efficace. Ma da questa amministrazione si aspetta anche che sia in grado di governare i processi sociali, economici, ambientali che coinvolgono il quotidiano. Non ultimo si aspetta che il governo della città sia in grado di prevenire le disfunzioni e i problemi che potranno insorgere, predisponendo strategie e soluzioni adeguate. Ritorna così il tema della cultura disciplinare altra vittima dell’esasperata burocratizzazione dell’azione di governo. In queste organizzazioni manca il luogo della formazione del pensiero tecnico e disciplinare, delle strategie, dello studio continuo dei bisogni e dei fenomeni urbani, della comprensione della città e dei cittadini. Così gli interventi proposti, compresi quelli di cui ho accennato, che legittimamente rispondono a esigenze proprie, ma prescindono dalla valutazione degli effetti che producono o non producono sulla città si depositano sul suolo e lì resteranno nei prossimi decenni. Emblematico l’esempio di Elnòs, probabile futura area dismessa, del quale solo oggi misuriamo gli effetti sulla viabilità e sulle attività della città. Perdonate il disincanto, ma non sarà una addomesticata Valutazione Ambientale Strategica a porre rimedio a scelte urbanistiche discutibili.