La donna ordina ai boss la spedizione punitiva «Ora scateno la bestia»
Blitz della Dia. L’imprenditrice: siamo dello stesso mondo
«Scusa eh, tu vieni dal mio stesso mondo. Dovresti sapere chi andare a fottere e chi non andare a fottere...».
Parla come una donna boss, Paola Galliani, 49 anni, da Legnano, professione intermediatrice finanziaria (e commercialista abusiva) specializzata in operazioni di ripulitura di soldi tra Italia, Moldavia e Slovenia. Eppure non ha nel suo albero genealogico alcun legame con la terra dei clan calabresi: non un precedente, nessun rapporto con famiglie criminali. E anzi, è l’esempio migliore di donna imprenditrice, nata e cresciuta al Nord, che nel momento del bisogno sceglie volontariamente e deliberatamente di andare alla ricerca dei servigi della «multiservice ‘ndrangheta». Ossia di rivolgersi a quello che già da tempo molti studiosi e analisti hanno identificato come il nuovo volto della ‘ndrangheta al Nord, che fa soldi sempre con il core business della droga ma offre servizi su misura agli imprenditori lombardi.
Perché i clan, abbandonato almeno di facciata il volto violento e criminale, oggi sono una sorta di problem solver a disposizione degli imprenditori: per la gestione della security di locali e ristoranti, per il controllo dei cantieri, per l’organizzazione di coop di trasporto e facchinaggio, per l’erogazione di finanziamenti, per — come in questo caso — il recupero dei crediti.
Otto anni dopo il maxi-blitz Infinito-Crimine, quindi, una imprenditrice di Legnano sceglie di rivolgersi ai mafiosi anziché allo Stato per recuperare somme di denaro. E lo fa contattando direttamente Pino Morabito, al secolo Giuseppe Morabito, 49 anni, casa in Svizzera ma interessi tra Milano, Casorate Primo e Rodano. Uomo mai condannato per associazione mafiosa ma considerato contiguo alla cosca Bellocco-Pesce di Rosarno (Reggio Calabria). Finendo così per essere l’esempio di quello che il sostituto della Dda Alessandra Cerreti (l’inchiesta è coordinata anche dal pm Cecilia Vassena e dall’aggiunto Alessandra Dolci) definisce come il terzo esempio di imprenditore in rapporto con i clan: «Quello complice, quello vittima e quello che va a cercare i boss per trarne profitto».
Questa la storia che c’è dietro ai cinque arresti (due ai domiciliari) eseguiti ieri mattina dagli investigatori della Direzione investigativa antimafia guidati dal tenente colonnello Piergiorgio Samaja. Le accuse sono di estorsione aggravata dal metodo mafioso e prendono le mosse dall’inchiesta «Linfa» che un anno fa aveva portato in carcere 17 persone per droga. In quell’occasione era stata perquisita anche la Galliani mentre tra gli arrestati c’erano proprio Morabito, Massimo Ferraro e Federico Ciliberto (ora ai domiciliari). I tre ai quali la donna si rivolge nel gennaio 2017 per riavere circa 60 mila euro che un altro imprenditore usato come prestanome per una operazione di sospetto riciclaggio tra Italia e Moldavia non voleva restituire.
Il link tra la tranquilla imprenditrice legnanese (ai domiciliari il suo collaboratore Enrico Verità) e il clan è rappresentato da una frequentazione che una delle due figlie gemelle della donna aveva proprio con Ciliberto. Così quando la 49enne ha problemi si rivolge a Morabito e soci, ben sapendo a chi sta chiedendo aiuto. Tanto che in una conversazione intercettata dice di aver pensato anche a quelli di Seregno», intendendo il clan Mancuso. Ma non solo perché, parlando con Pino Morabito commenta i nuovi assetti della ‘ndrangheta nel Legnanese dopo l’uccisione di Novella e dopo la scarcerazione di Vincenzo Rispoli.
Così la donna alla fine chiama «la gente mia», convoca il debitore nel suo studio di Legnano, lo attira in trappola e lo fa pestare a sangue da Morabito: «Ora scateno la bestia». Poi ottiene un primo pagamento di 7 mila euro. Da quel momento a rivendicare il resto del credito è lo stesso Morabito. Ecco il testo di una drammatica telefonata in dialetto calabrese all’imprenditore vittima: «Io ti dico amichevolmente, perché mi fai girare i ..., io vengo a suonarti a casa e sicuro non sarò tenero, te lo garantisco al cento per cento. Quindi questa storia deve essere finita». Quando la vittima non paga è ancora la Galliani a commentare «l’atteggiamento pazzesco» dell’imprenditore che così «manca di rispetto ai vertici del locale di ‘ndrangheta di Legnano». Un’uscita che testimonia quanto inquirenti e studiosi ripetono da anni, ossia che l’imprenditore che si rivolge alle cosche, benché lontano anni luce da quel mondo, sa bene quali regole governino la mafia e quali siano i nomi che contano. «In questa indagine per la prima volta su cinque arresti, tre sono nati al Nord ed incensurati, la maggioranza», ha spiegato il capocentro Samaja.
Il colpo finale alla «favoletta» secondo la quale chi nasce al Nord ha i famosi anticorpi naturali contro mafia e malandrini.
Le indagini L’arresto è nell’ambito dell’operazione Linfa che aveva già portato in carcere 17 persone