L’arte diffusa sulle sponde del lago
Splendido ottuagenario ma sempre giovane ribelle, insofferente alla cavezza e spirito movimentista. «I partiti — dice — sono stati concepiti per non ottenere nulla, i movimenti chiedono una cosa e vanno avanti fino a che la ottengono». Silvano Agosti presenta il 10 ottobre alle 21 al Nuovo Eden il suo ultimo film Ora e sempre riprendiamoci la vita, presentato fuori concorso all’ultimo Festival di Locarno e distribuito dall’Istituto Luce. «Hanno enfatizzato il ‘68 degli studenti e questo non è un film sull’anniversario di quell’anno. Non mi interessava analizzare la miccia quanto le conseguenze dell’esplosione. È stata invece messa la sordina a tutto quello che è venuto poi. Sotto l’etichetta deterrente anni di piombo, si è archiviato un periodo, quello degli anni ‘70, di grandi conquiste ottenute da numerosi movimenti: oltre a quello degli studenti, il movimento dei lavoratori, il movimento femminista, i sindacati, il movimento di occupazione delle case. Tutto un processo di cui fanno parte l’articolo 18 in difesa del posto di lavoro, lo statuto dei lavoratori, la legge sull’aborto e quella sul divorzio. Il popolo italiano ha diritto di sapere tutto ciò che riguarda la sua qualità di lotta. E oggi, in un Paese privo di memorie, anche perché nessuno ne parla, questa rappresenta una testimonianza preziosa sulla potenza della dignità umana in continua ricerca del proprio riscatto». Documento d’epoca, certo — Agosti è stato il cinegiornalista riconosciuto di quegli anni, il cine-occhio di Vertov — ma il film è soprattutto la riscoperta del calore di una passione civile, di una solidarietà che faceva corpo sociale comune, come ricorda Bernardo Bertolucci, di un fiume in piena, di un’energia che ha rotto argini e fatto saltare tappi. Si vede materiale di repertorio, si vedono volti e si ascoltano voci.
Paolo Pietrangeli, che fu la colonna sonora, Oreste Scalzone che parla della tensione per una vita migliore, Mario Capanna che ricorda la protesta alla prima della Scala e i braccianti di Avola uccisi dalla polizia, il ballerino anarchico Pietro Valpreda che ci rammenta la sua persecuzione, Massimiliano Fuksas che riconosce la «stupidità del potere» e aggiunge: «Ci divertivamo un mondo, ci conoscevamo tutti ed eravamo drammaticamente felici».
E nella galleria degli intervistati scorrono anche Franco Piperno, Emanuele Severino che ribadisce il primato della tecnologia sulla politica, Franca Rame, che rievoca la terribile violenza sessuale subita nel 1973 come «punizione» del suo impegno in Soccorso Rosso, Clara Sereni che si interroga sul perché il movimento femminista non si sia propagato oltre il ‘68, Massimo Cacciari che non fa sconti alla Sinistra per come è andata a finire.
E come è andata a finire? Prima la stagione delle stragi, poi l’assassinio di Moro «mettono il tappo sul vulcano e si chiude una pagina irripetibile, ma quegli anni non vanno dimenticati», commenta Agosti. Non a caso l’epilogo si concentra sulla poppata di un neonato. «La vita è potente, continua e si rigenera». Nell’incipit Mauro Rostagno, cui io film è dedicato, ucciso dalla mafia nel 1988, dice: «Abbiamo perso. E per fortuna abbiamo perso», a riprova che la partita non è mai finita.
Anni di piombo
In un Paese privo di memoria, il popolo italiano ha diritto di sapere tutto ciò che riguarda la sua qualità di lotta