Affinità elettive ed emancipazione Se l’arte è un affare di famiglia
Fu in un attico di piazza di Spagna pieno di amuleti, ombre inquietanti e con le tende perennemente chiuse che restò ossessionato dal tratto saturnino e dall’oscurità: «Scurisci, scurisci», gli diceva lo zio metafisico. Quando aveva tredici anni, Ruggero Savinio, figlio di Alberto, uno dei dioscuri della metafisica, lo spedì nello studio di suo fratello Giorgio De Chirico, per cercare l’ispirazione. «Ero affascinato dal modo in cui lavorava — ha detto in un’intervista —. I suoi gesti mi ricordavano quelli d’un alchimista... e intanto ne apprendevo i segreti, le tecniche artistiche». Colore e materia slabbrata, figure e spazi enigmatici: ha ereditato le stesse ossessioni del padre e dello zio.
Con la mostra Di padre in figlio, la Galleria dell’Incisione fa affiorare affinità, contraddizioni, reciproche influenze, assonanze e differenze perseguite con ostinazione nei linguaggi e nelle visioni di artisti legati da un legame indissolubile, quello di sangue (in via Bezzecca; la vernice domani alle 18; dura fino al 25 novembre). Da cinquanta opere — di pittura e scultura — eseguite da padri, figli, fratelli d’arte scaturisce un viaggio ideale dagli inizi del XX secolo al contemporaneo. In mostra, i lavori di alcuni artisti (padri e figli) già da anni nella collezione della galleria ma non solo: Robert e Jessica Carroll, Felice e Francesco Casorati, Gigi e Mauro Chessa, Arturo e Romano Dazzi, Omar con Massimiliano e Michelangelo Galliani, Philippe e Quentin Garel, Alberto e Ruggero Savinio, Attilio e Sergio Selva, Giancarlo Vitali e Velasco.