Deliziosa Erminia
La capacità di «lettura» dei testi l’insofferenza per i rumori l’abitudine di portare il colbacco
Un colbacco in testa d’inverno e d’estate. Indifferente se d’astrakan o coniglio. Bastava che tenesse il capo al caldo. La si poteva riconoscere dal cappello la cara Erminia, per tutti semplicemente Mina, che se ne è andata dieci anni fa. Non era stravaganza da teatrante, ma il solo modo per difendere le orecchie. Un’otite, da giovane, aveva lasciato lo strascico. Non sopportava i rumori, la deliziosa Mina, regista di 30 spettacoli della Loggetta e sei del Ctb, oltre ad un’altra dozzina per gli Stabili di Genova e di Sardegna o per la cooperative di cui ha fatto parte. Le davano fastidio persino i suoni forti che voleva per esigenze di scena. Allora, come sempre rannicchiata in una delle prime file della platea abbassava la testa e buttava uno scialle sul colbacco.
Mina regista non ha mai messo piede in palcoscenico. Guidava l’attore dal punto di vista dello spettatore e le indicazioni erano chiarissime. A 25 anni aveva recitato con risultati da oratorio. Invece fin dalla prima lettura di un copione con la sua vocina delicata riusciva a dare chiare indicazioni sia che spiegasse un testo documento (tutta sua l’invenzione) o che volesse straniamento brechtiano.
Poche indicazioni e tutti riuscivano a capire come avrebbero dovuto recitare Cechov o Buchner, Goldoni o Beckett. Con lei diventava chiaro a tutti il sottotesto ed il senso di una battuta. A tutti meno certi celebrati attori, certi di poter piegare il personaggio all’immagine da Don Giovanni che si erano creati. Allora Mina, a bassa voce e solo ai veri amici, bisbigliava: «Quello è un cane».
Certo era difficile che distribuisse elogi, rigorosa come era. In tanti anni ricordo di averla vista esaltarsi solo una volta, a Venezia dopo il “Sogno” shakespeariano di Peter Brook. Era felice come una ragazzina: «Sono sconvolta , vorrei buttarmi nel canal Grande».
I rumori, dicevo. Lei passava la notte sui copioni lasciando pensare che fosse stravaganza da artista. Suo padre — Piero Mezzadri — in via Malta produceva le caramelle santa Chiara. (Ma si, la stessa santa della contrada e del teatro che ora porta anche il nome di Mina Mezzadri). Lo studio notturno era per sfuggire ai rumori della fabbrica. Alle sette del mattino quando le macchine cominciavano a sferragliare Mina chiudeva i libri, si infilava due tappi di cera nelle orecchie e si buttava nel letto. Accoccolata ai suoi piedi «codona», la gatta che le teneva compagnia. Perché Mina — bella, corteggiata — ha sempre voluto restare sola, senza badare a chi si chiedeva stupidamente il perché.
L’ossessione del rumore. Per rendere l’idea de «I giganti della montagna» che straziano Ilse e la sua compagnia di guitti mi mandò a Lumezzane a registrare i colpi dei magli. Quei tonfi dovevano significare la morte della poesia. Per «Finale di partita» mi chiese una colonna sonora costruita con rumori quasi irreali. L’accontentai con la complicità di Mimmo Valseriati che si prestò a distorcere i suoni della chitarra sino a renderli irriconoscibili.
Alla Biennale di Venezia — era in prova «Luci di Bohême» — funzionava tutto meno il suono che doveva sprigionarsi da un gigantesca parete metallica. Dopo tante prove fallite mi telefonò all’alba in albergo: «Dormi, per caso?… Che ne dici di mettere una nota acutissima di violino mentre gira la parete? Pensaci Buona notte».
Deliziosa Mina. Insisto su storie di rumori quando avrei stupendi ricordi di un’autentica maestra di teatro, una delle rare registe donne del 1900. Lascio il compito ad altri: nel pomeriggio al Sociale, al Santa Chiara, e stasera in Cattolica. Aggiungo però che quel colbacco la proteggeva anche dal birignao imperante sulle scene, dalle stentoree urla dei mattatori, dalle sciocchezze che dicevano critici fuori epoca. Attutiva poi il blaterare di commediografi improvvisati convinti di aver sfornato il capolavoro. Qualche volta è capitato che la regista abbia dovuto riscrivere da capo testi pietosi dovendoli mettere in scena per opportunità. Blateravano più o meno quasi tutti i giovani approdati alla Loggetta perché senza esperienza o perché cresciuti fra dilettanti di teatro. Mina Mezzadri ha saputo creare un gruppo compatto. È riuscita a farli recitare tutti secondo una cifra precisa, uno stile. Andata via lei, sfaldata la Loggetta, ciascuno ha ripreso la sua strada ed i vecchi vizi. Ed è ricominciata la Babele bresciana del palcoscenico.
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Bellissima
Non sopportava certi attori celebrati che si atteggiavamo a eterni emuli di Don Giovanni