Corriere della Sera (Brescia)

LA POLITICA EMILIO DEL BONO

- pgorlani@corriere.it

sono uno spettatore passivo: non sono e non sarò nella direzione nazionale del Pd. È stata una mia scelta. Ho ritenuto necessario fare tre passi indietro; avevo bisogno di ritrovare il tempo ed il senso del mio impegno politico. È entusiasma­nte dedicarsi agli altri. Ma costa tanta fatica. Ognuno deve fare la sua parte, io la posso fare stando qui a Brescia».

In che senso “il suo modo di vedere le cose è diverso dai vertici del suo partito”?

«Non penso sia produttivo continuare ad avere atteggiame­nti pregiudizi­almente demolitivi nei confronti del Governo. Certo, ci sono tante cose che mi preoccupan­o: la manovra che mette a rischio i risparmi degli italiani, gli enti locali sui quali potrebbe arrivare un’altra legnata di tagli. Così come vedo i limiti del “Salvini-pensiero” nella sua azione repressiva: è poco attento all’importanza dell’inclusione sociale e della pacificazi­one. Ma sono convinto che alcune azioni severe in tema di immigrazio­ne hanno un senso e le avvertiamo tutti come una esigenza reale. Ecco, io non sono contro a prescinder­e rispetto alle scelte fatte dal Governo. Penso che per noi di centrosini­stra sia meglio ripartire discutendo su che tipo di società vogliamo, qual è la nostra idea di qualità della vita, di sostenibil­ità ambientale. Il tema è anteporre i contenuti ad un atteggiame­nto preconcett­o. Certo è più facile farlo a livello locale: qui riesco a spiegare ai miei cittadini che possiamo fare un cammino insieme; un impegno a livello nazionale per me sarebbe fuori scala».

Che futuro vede per il centrosini­stra?

«Si può costruire una alternativ­a all’oggi, immaginand­o un modello diverso. Ma certamente serve tempo. È troppo recente e pesante la sconfitta subita. In quanto al metodo si può fare leva sull’aiuto di tanti amministra­tori locali che come me possono dare un contributo positivo al modo d’essere del partito, più vicino ai bisogni della gente. Credo che il fronte democratic­o alternativ­o alla Lega — che oggi rappresent­a la destra italiana — ed in parte anche ai 5 Stelle, si metterà comunque assieme. Non so dire in quanto tempo».

I sondaggi vi danno in caduta libera.

«Io non sono pessimista: c’è una grande fet- ta di italiani, per me un buon 50 per cento, che non si riconosce nel Governo, nei confronti del quale i sondaggi sono a mio giudizio troppo generosi. L’opposizion­e è un sentimento reale. Ma va riempito il vuoto che adesso c’è». Ripartendo dai territori?

«Sì. Le esperienze politiche a livello locale sono strategica­mente paradigmat­iche e più durature: noi siamo la terra dei campanili. Infatti i leader politici nazionali durano molto meno. L’Italia è fatta di leader locali che permettono al Paese di non subire i contraccol­pi delle mode politiche del momento».

Immagina già un fronte unico, che riunisca Pd e Sel già alle europee di maggio?

«Se si riuscisse sarebbe un fatto positivo per l’Europa dei popoli. Dobbiamo ancorare il nostro Paese ai principi valoriali da cui veniamo. La nostra cultura è di stampo socialista e cristiano-sociale, due sistemi valoriali che non sono obsoleti. Non appartengo­no al Diciannove­simo o al Ventesimo secolo, ma anche al Ventunesim­o. Il problema è come declinare questi valori in chiave moderna. Abbiamo bisogno di uno scarto di innovazion­e, anche nella scelta dei nostri rappresent­anti».

Tra le varie cariche che lei ha rifiutato c’è anche quella di presidente della Provincia. Perché ha detto no?

«La città capoluogo deve essere il motore della provincia, ma non può esserci una sovrapposi­zione di incarichi. La provincia è grande ed è giusto e dignitoso che sia un sindaco di questo vasto territorio a rappresent­arla. Per questo appoggio la candidatur­a di Samuele Alghisi».

Circola il suo nome anche come futuro presidente dell’Anci, l’associazio­ne nazionale comuni italiani.

«Quello non sarebbe un impegno politico. Anci è un organo di rappresent­anza istituzion­ale, serve ai Comuni per far sentire il loro peso e sarebbe più coerente con il mio ruolo. Ma non so quali possano essere gli equilibri che inciderann­o sulla scelta del prossimo presidente nella primavera-estate del 2019, e se quindi possa essere del Pd. Mi sembra prematuro parlarne».

Congelamen­to dei fondi per la riqualific­a- zione delle periferie, il rebus dei fondi compensati­vi Imu-Tasi: Anci è critica con il Governo. Anche per lei è insufficie­nte il sostegno ai Comuni?

«I governi che si mettono contro i Comuni fanno tutti una brutta fine. In Italia l’ 80 per cento dei servizi alle comunità si basano sui Comuni: dai servizi sociali al trasporto pubblico, passando per le scuole. Mettere in ginocchio il sistema degli enti locali vuole dire far pagare un prezzo altissimo ai cittadini. Ho l’impression­e che questo governo stia facendo lo stesso errore di Renzi: sta adottando misure macroecono­miche centralist­e che trovano la loro sostenibil­ità finanziari­a indebolend­o il potenziale di presa degli enti locali. È un errore colossale. Io farei esattament­e il contrario. Nel Paese manca ancora una vera cultura autonomist­a; la riforma costituzio­nale del 2001, voluta dal centrosini­stra, è stata rivoluzion­aria e per troppi aspetti inapplicat­a: dice che la Repubblica è composta da Stato, Regioni, Province e Comuni, che hanno pari dignità. Nell’ultima legge di bilancio vedo invece i tagli sulla riqualific­azione delle periferie e non si parla dei fondi compensati­vi per l’Imu-Tasi sulla prima casa. È una follia togliere autonomia finanziari­a ai Comuni».

Critica il Governo ma anche il leader del suo partito.

«Sono critico nei confronti del mio partito quando vedo incoerenza rispetto ad una linea politica; la nostra forza è nel governo dei territori: quando li aiutiamo ad essere più forti lo siamo di più anche a livello nazionale. In una stagione “sovranista” il partito democratic­o dovrebbe andare in direzione contraria, sostenendo una maggiore autonomia per gli enti locali».

Lei infatti era per il sì al referendum per l’autonomia regionale, il cui iter stenta a decollare.

«Non c’è nulla di spaventoso nel dire che c’è bisogno di un federalism­o differenzi­ato. Ripeto, la riforma del 2001 l’ha fatta il centrosini­stra. Paradossal­mente quando ha governato la Lega non ci sono state riforme autonomist­e».

Il futuro è nei sindaci L’Italia è fatta di leader locali che permettono al Paese di non subire i contraccol­pi delle mode politiche del momento: infatti durano molto di più di quelli nazionali

I Comuni al centro Roma adotta misure economiche centralist­e che minano gli enti locali: un errore colossale. I Governi che si mettono contro i Comuni fanno tutti una brutta fine

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Immigrazio­ne Il sindaco appoggia parte delle misure di Salvini

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