MANCANO GLI INTELLETTUALI CAPACI DI PENSARE «CONTRO» STANDO DENTRO LA POLITICA
Gentile Tedeschi recentemente mi è capitato di leggere dei passaggi che mi ha molto incuriosito “cultura e politica”. Molti intellettuali italiani non sono mai stati coinvolti in politica. Ed è stato un fiorire dei libri di Veltroni, Franceschini, Scalfari. E se questa è la “cultura” che abbiamo perso, meglio gli “ignoranti” grillini e leghisti. Politica e cultura devono stare lontani, lontanissimi: la politica cerca consenso, la cultura non può, non deve mai farlo, pena la trasformazione da cultura in politica. Eppure, da decenni, passa il pensiero che la cultura possa, debba essere politica. Quale cultura rimpiangete, di quale mancanza di cultura vi lamentate, quando osservate i risultati elettorali della Lega o dei Cinquestelle? Quella di Veltroni? Quella di Franceschini? Quella che vi ha fatto credere che cultura e politica siano la stessa cosa (mentre la seconda cerca un consenso che la prima non dovrebbe mai cercare)? Le chiedo un suo personale giudizio su questi passaggi.
Filippo Marchetti
Caro Filippo, molti politici non sono sfuggiti alla tentazione e al vezzo di immaginarsi scrittori, con i risultati che sappiamo: a volte censurabili, raramente memorabili. Ma il problema del rapporto intellettuali-potere si colloca su ben altro piano. Ad esempio quello che ho trovato nel libro «Forme della ribellione» di Paolo Barbieri, recentemente recensito su queste pagine. Lì è chiarito chi è l’intellettuale: colui che è capace di stare «dalla parte del torto» rispetto al pensiero unico del suo tempo. Un diversamente pensante. Capace — secondo la lezione di Norberto Bobbio — di «misura, moderazione, disciplina mentale» in tempi smisurati, smodati e indisciplinati. Il che significa non intrupparsi ma neppure disinteressarsi alla politica, leopardianamente definita «parte principale del sapere umano». Sentiamo una gran nostalgia di intellettuali alla Camus o alla Pasolini. Ma il guaio è che, come avvertiva Eric Hobsbawm, nella società dello spettacolo d’oggi non cerchiamo più pensatori, bensì «celebrità».