Un viaggio all’inferno con Facchinetti
LA RAPPRESENTAZIONE AL TEATRO GRANDE
Ci sono delle occasioni da non perdere: assistere al «Viaggio musicale all’inferno», ultima opera del compositore bresciano Giancarlo Facchinetti, in scena grazie all’impegno congiunto della Fondazione Teatro Grande e del comune di Brescia, è una di queste. Non siamo infatti di fronte al classico omaggio di campanile, ma ad una produzione di qualità che esalta l’estremo frutto della creatività di un maestro che ha pieno titolo per apparire tra i grandi autori del teatro musicale.
«Viaggio musicale all’inferno», anche grazie al pungente libretto di Andrea Faini, mette in mostra le migliori qualità di Facchinetti: l’eclettismo — si possono ascoltare una dopo l’altra una sequenza dodecafonica e una canzone del varietà, un’ouverture barocca e una sonatina scolastica — e l’ironia, a volte bonaria e altre tagliente.
Della vicenda narrata — l’anonimo protagonista è un musicista che ha appeso il pianoforte al chiodo e viene trascinato da Euterpe, Musa delle sette note, in un inferno dagli echi danteschi in cui sono puniti critici compiacenti, musicisti pedanti o narcisi, impresari senza scrupoli — si colgono due possibili chiavi di lettura.
La prima, decisamente provocatoria, è che l’inferno descritto sia uno specchio del mondo musicale bresciano, prigioniero delle consuetudini e sin troppo autoreferenziale. Se il pubblico potrà certamente divertirsi a riconoscere il pianista arrivista, il trombettista figlio di papà e altri stralunati personaggi dell’opera, colpisce soprattutto l’accusa ai critici musicali, che con «bastone ai deboli e carote ai potenti» finiscono per essere i custodi di un sistema ferocemente conservatore anziché le sentinelle della qualità artistica. E quando invece lo sono, è il sistema che li colpisce.
Superando il cortile di casa nostra, il «Viaggio musicale» riassume però anche la parabola artistica di Facchinetti, uomo del Novecento che ha attraversato per intero la crisi musicale del Secolo Breve — dagli eccessi delle avanguardie ai tardivi rigurgiti di romanticismo, dalle freddezze neoclassiche alla sciatteria del pop — e che ne è riemerso ritrovando un linguaggio di grande freschezza, libero da schemi precostituiti e sempre pronto a colpire in contropiede l’ascoltatore.
Un linguaggio coloratissimo, insieme di estrema raffinatezza e grande capacità comunicativa, che in quest’ultima opera si svela in tutta la sua potente leggerezza, risultando credibile sia quando si deforma in grottesche parodie sia quando spicca il volo in episodi di grazia lunare.
Il «Viaggio musicale» di Facchinetti ci incanta, ci provoca, ci interroga. È un testamento che non guarda al passato, ma al futuro, e si chiude con un messaggio di speranza: l’arte e la bellezza ci possono ancora salvare.