Corriere della Sera (Brescia)

I primi cinquant’anni di Maurizio Ganz

Amato a Brescia come a Bergamo Idolo interista, poi dei milanisti Domani celebra il mezzo secolo

- Bertelli

Un compleanno importante per Maurizio Ganz. Domani, per «El segna semper lü» (così lo ribattezza­rono a Milano), gli anni saranno 50. Eppure è ancora adrenalini­co come in area di rigore: in carriera i gol furono 204 e mise la terza marcia quando a 21 anni arrivò a Brescia, dove lo volle il ds Pietro Tomei.

C’è una leggenda secondo cui gli attaccanti di razza non invecchian­o mai. Non è del tutto vero, ma se parliamo di Maurizio Ganz la teoria è fondata. Domani, per «El segna semper lü» (così lo ribattezza­rono a Milano), gli anni saranno 50. Eppure è ancora adrenalini­co come in area di rigore: in carriera i gol furono 204 e mise la terza marcia quando a 21 anni arrivò a Brescia, dove lo volle il ds Pietro Tomei. Oggi pesa 72 chili, «ne ho messi su due — racconta — da quando giocavo». E fa ancora mille cose (nell’ordine: allenatore del Taverne in Svizzera, commentato­re per Milan tv, calciatore amatoriale d’inverno e di beach soccer d’estate) come quando era bambino: a Tolmezzo, vicino Udine, «c’era la neve per 9 mesi all’anno.

Per giocare a calcio — racconta — usavamo i bastoni come pali. Nel mentre, facevo gare agonistich­e di salto con il trampolino. È andata avanti così sino a quando mi ha notato la Sampdoria...».

Due prestiti a Monza e Parma (promosso in A), poi il Brescia le cambia la vita.

«Impatto un po’ traumatico (sorride, ndr). Iniziamo con Mazzia, amante della zona. Dopo tre partite viene esonerato e arriva «Maciste» Bolchi, allenatore vecchio stampo: con lui si torna a uomo. Alla fine ci salviamo, segno 10 gol e nel frattempo la società viene rilevata da Gino Corioni».

Il primo flash legato al presidente?

«Andavamo in ritiro al «President» e lui veniva a pungolarci con quelle tutine colorate che andavano di moda e il suo cappello. Costruì una squadra per vincere, azzeccando l’allenatore». Mircea Lucescu... «Guardi, io ho avuto 34 tecnici in carriera. Tra questi Capello, Lippi, Spalletti. Lui è stato il migliore. Era avanti di vent’anni sugli altri, noi già nel 1991 giocavamo quello che definivano calcio totale. Ricordo il primo allenament­o: ci disse che, per diventare una squadra vera, avremmo dovufanno

to toccare 100 volte a testa il pallone in gara. Eravamo una corazzata, dopo un quarto d’ora eravamo sempre 1-0».

Lei diventa capocannon­iere, la città è ai suoi piedi. Ma la cedono ai nemici storici dell’Atalanta. Perché?

«Perché Mircea voleva prendere Hagi e Raducioiu, per permetters­eli il presidente non poteva che sacrificar­e me. Ero al mare a Pollina con Minaudo e Porrini dell’Atalanta e già profetizza­vo un mio gol nel derby. L’ultimo giorno di mercato li vidi in spiaggia e dissi: ci vediamo in ritiro, vengo a Bergamo».

Si è sentito tradito?

«Nei primi giorni sì. E con me in attacco il Brescia si sarebbe salvato (retrocedet­te allo spareggio con l’Udinese). Al cento per cento. Sarebbe stato bello giocare con Hagi, ma con me al suo posto la Serie A sarebbe stata garantita. Io comunque a Bergamo feci benissimo, dopo tre anni passai all’Inter».

Ha mai avuto rancore verso Corioni?

«Ma no, figurarsi. Poi gliel’ho sempre detto: con me — ride — ha fatto un bell’affare, incassò 8 miliardi di lire. Gino ha fatto solo il bello del Brescia: ha portato Baggio e Guardiola, serve altro?...»

Anche a Milano, poi, salto triplo dall’Inter al Milan.

«Gli interisti si sono sentiti traditi quando sono passato in rossonero, dove sono stato decisivo con i miei gol per lo scudetto. Però a Brescia come a Bergamo, all’Inter come al Milan, posso andare a testa alta: le statistich­e parlano».

Qual è il segreto per essere amato anche quando si diventa un nemico odiatissim­o?

«Molti giocatori oggi parlano di amore per un’unica maglia. Io ne ho avute tredici e ognuna di queste è stata quella della mia vita. Non fosse stato così, non mi avrebbero consegnato una targa al Rigamonti prima di un BresciaAta­lanta da avversario».

Se Ganz fosse nato vent’anni dopo, ora in nazionale sarebbe titolare?

«Inamovibil­e. Ho dovuto competere con Baggio, Totti, Del Piero, Vieri, Vialli, Montella, Ravanelli. Ora in pochi la differenza, ma non torno indietro: sono felice di aver giocato nel calcio vero, quello di una volta».

Com’è quello di oggi, visto da allenatore?

«Più povero di talento, troppo esasperato specie in Italia. Io in Svizzera sto bene, faccio il mio percorso. E sono convinto che arriverò in Serie A, prima o poi».

Ci arriverà anche il Brescia? «Non credo che Cellino sia

"Se fossi nato 20 anni dopo, sarei stato titolare inamovibil­e in nazionale ma sono contento di aver fatto parte del calcio vero, più bello

venuto a prendere il sole, ha iniziato a programmar­e e ha costruito un attacco fortissimo. Non basta però quello, serve continuità».

Dove festeggia domani? «Ci ritroviamo a Rimini, una zona dell’Italia funzionale per tutti: qualcuno partirà da Genova, altri da Udine, io da Milano, mio figlio Simone Andrea da Ascoli, dove gioca. Ah, lo scriva: è fortissimo, deve solo giocare».

Cuore di papà?

«No, parola di bomber».

"Ho avuto 34 tecnici in carriera, nessuno bravo come Lucescu. Il Brescia faceva il vero calcio totale, peccato non aver giocato con Hagi

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Maurizio Ganz Domani compleanno importante per l’ex bomber del Brescia: compirà 50 anni
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L’uomo dei derby Brescia e poi Atalanta, Inter e poi Milan, eppure amato da tutti
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