Gli scarti pericolosi, i capannoni vuoti Sradicato il sistema criminale dei rifiuti
Operazione dell’Arma, sei in manette: trasporti notturni e tonnellate di plastica in fiamme
In quest’inchiesta sulla «terra dei fuochi» lombarda, un’indagine difficile ma incoraggiante, a conferma della cresciuta sensibilità sul tema delle forze dell’ordine — e insieme della magistratura che avalla e incoraggia —, c’è uno schema tracciato dai carabinieri. Lo schema aiuta a capire il «sistema» che ha costruito una rete di traffico illecito di rifiuti e ha dato di sé un’immagine di spaventosa forza: il rogo del 3 gennaio a Corteolona, dove la distruzione di quei rifiuti ha impegnato per giorni i pompieri e provocato decine di intossicati fra i residenti.
La rete e il business Corteolona è nel Pavese, ed è stato da lì, grazie alle capacità di «lettura» del territorio delle stazioni dell’Arma, che il Comando provinciale è partito per arrestare sei persone. Riccardo Minerba, 38enne salentino e residente a Lecco, è il primo nome che compare nell’ordinanza firmata dal gip Alfonsa Maria Ferraro. Minerba era l’intermediario che ha unito il resto degli attori. Ovvero l’«Ecogroup srl» di Settimo Milanese, la «Corsico rottami» di Corsico, la «R.G.F.» di Caravaggio, la «3L Trasporti srl» di Brescia, l’ex «Cartaria» di Cesano Boscone e per concludere il capannone di Corteolona riconducibile come proprietà alla «Neive srl» di Milano. L’«Ecogrop srl» aveva affidato la gestione del traffico dei rifiuti a uno come Minerba che non ha nessuna autorizzazione per la gestione del ciclo dell’immondizia e che invece veicolava in quel capannone abusivo anche le materie plastiche, ad esempio quelle prodotte dalla «Corsico rottami».
I soldi
Il tema della plastica è fondamentale per inquadrare la «fisiognomia» della «terra dei fuochi» del Nord. Il blocco delle importazioni di scarti di plastica e gomma della Cina, a lungo enorme discarica per tutta Europa, ha provocato la saturazione dei 2.700 impianti lombardi che peraltro raccolgono l’immondizia di altre regioni. Al di là dello spazio che manca, nello smaltimento regolare ci sono pesantissimi costi. La moltitudine di capannoni vuoti, una conseguenza negli anni della crisi del lavoro, ha offerto a balordi l’idea per offrire una «conveniente» via di fuga ai titolari delle ditte. I secondi hanno risparmiato, e i primi hanno acquisito un tesoro, se pensiamo che le prime cifre dei guadagni parlano di un milione di euro incassato da Minerba e dal suo gruppo criminale, che annovera altri quattro italiani (il bresciano Luca Liloni, il calabrese Vincenzo Divino, il milanese Alessandro Ivano Del Gaizo e il canturino Santino Pettinato), più il romeno Stefan Daniel Miere. La loro frenesia, cristallizzata dalle telefonate intercettate, per l’«acquisizione» del vasto capannone di Corteolona, trova una facile spiegazione nelle effettive dimensioni del rogo, come certificato dai carabinieri Forestali, i quali hanno stimato in 1.800 tonnellate la quantità di rifiuti incendiati, un’azione decisa perché quella discarica abusiva era stata ormai riempita al massimo della capienza.
La svolta nell’indagine
I carabinieri già indagavano prima del rogo. L’esame della telecamera installata a ridosso del capannone e in seguito (a fine dicembre) disattivata, aveva permesso di vedere l’arrivo di una persona sconosciuta. L’esame dei filmati e lo «sviluppo» di quelle immagini avevano consentito di cristallizzare la figura di Divino. Per quale motivo s’era recato in quel preciso punto? L’analisi dei tabulati aveva accelerato la caccia. Non soltanto c’erano stati numerosi contatti tra il cellulare di Divino e quello di Minerba, contatti che si erano interrotti subito dopo l’incendio: il 17 febbraio, chiamato in stazione dai carabinieri per delle domande, Divino aveva ricomposto per la prima volta il numero di Minerba il quale, temendo d’essere intercettato, non gli aveva risposto.