Facchinetti e l’omaggio alla musica
Facchinetti ci accompagna all’inferno inseguendo un pianista in crisi e una musa decisa a redimerlo
Possiamo ancora credere nella bellezza: è l’ultimo regalo di Giancarlo Facchinetti e della sua opera-testamento, «Viaggio musicale all’inferno», andata in scena ieri in prima assoluta al Teatro Grande. L’estremo lascito artistico del compositore bresciano è un atto d’amore per la musica, uno sguardo retrospettivo al Novecento che ne esorcizza le crisi e invita a guardare finalmente avanti.
Assecondando idee e provocazioni dell’intelligente libretto di Andrea Faini, che non lesina riferimenti pungenti a personalità del mondo musicale bresciano, il maestro ci accompagna all’inferno inseguendo un Narratore pianista in crisi e una Musa decisa a redimerlo, esibendo i dannati che l’hanno tradita. Di qui una lunga galleria di personaggi, ciascuno vestito di uno stile diverso: il critico musicale compiacente si esibisce in un numero di cabaret, gli eretici cantano vocali appoggiandosi su note casuali, il pedante Dottor Gradus ad Parnassum è prigioniero della retorica di una sonatina scolastica, il falsario Mister Millenote trasforma Verdi in Stravinskij. Un eclettismo che non si traduce però in un disordinato collage: Facchinetti conferisce al lavoro organicità sia con la sua impronta personale - un’inconfondibile armonia di umorismo e malinconia sia ricorrendo ad una struttura quasi da oratorio barocco.
Originalità e imprevedibilità della musica hanno trovato nella regia di Danilo Rubeca, con le scene di Domenico Franchi, i costumi di Simona Morresi e le luci di Fiammetta Baldiserri, un perfetto contrappunto visivo, nutrito da un lato dall’estetica surrealista - Man Ray, Breton, ma anche David Lynch - e dall’altro da riferimenti alla biografia di Facchinetti - il bambino che gioca al pianoforte con il padre accordatore (interpretato da un vero accordatore, Giuseppe Passadori), l’uomo delle SS cui il giovane Giancarlo rubò una pistola, il concorso a premi «Primo applauso» cui Facchinetti partecipò vincendo inseriti con naturalezza e appropriati per un allestimento che è anche un doveroso omaggio al compositore. Ottima la prova dei cantanti: Daniela Pini è un’Euterpe energica non solo vocalmente ma anche per la presenza scenica, Maurizio Leoni si destreggia con bravura tra i tanti recitativi che prevede la sua parte, unendo buone qualità attoriali, mentre i dannati Claudio Rosolino Cardile, Paolo Marchini, Roberto Covatta, Ragaa Eldin, Erika Tanaka e Aloisa Aisemberg riescono nel difficile compito di caratterizzare i propri personaggi anche nei pochi secondi che li vedono in scena, coadiuvati dalle comparse Giuseppe Nitti, Ermelinda Pansini, Alessandro Pezzali e Giuseppina Turra. Un plauso merita anche il Dèdalo Ensemble diretto da Vittorio Parisi. Serata che si è chiusa con il Narratore tornato musicista, incantato dalla luna, non più finta - come nell’opera che Facchinetti presentò al Teatro Grande nel 1989 - ma finalmente autentica, metafora di un’arte che ritrova semplicità e piacere di raccontare il mondo. L’opera è stata a lungo applaudita da un pubblico insieme divertito e commosso. L’unico rammarico è che la si possa ascoltare soltanto a Brescia - la replica è in programma domenica alle 15.30 - e non sia stata inserita nel circuito teatrale lombardo.