Gli sguardi, il pensiero e gli scritti L’essenza vera del papa bresciano
Nel primo (7 dicembre 1965), quasi in difesa del Concilio dalle critiche che in esso la Chiesa si sarebbe inchinata al mondo, Papa Montini ricordava a tutti che il Vaticano II non si era inchinato al mondo, ma si era chinato sulle sofferenze di questo, come il buon samaritano della parabola si era chinato sull’uomo caduto nelle mani dei briganti. Ma non solo questo: il Concilio aveva voluto guardare all’uomo, con uno sguardo di simpatia: «E che cosa ha considerato questo augusto Senato nella umanità, che esso, sotto la luce della divinità, si è messo a studiare? Ha considerato ancora l’eterno bifronte suo viso: la miseria e la grandezza dell’uomo, il suo male profondo, innegabile, da se stesso inguaribile, ed il suo bene superstite, sempre segnato di arcana bellezza e di invitta sovranità. Ma bisogna riconoscere che questo Concilio, postosi a giudizio dell’uomo, si è soffermato ben più a questa faccia felice dell’uomo, che non a quella infelice. Il suo atteggiamento è stato molto e volutamente ottimista. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno». Varrebbe la pena, nel discorso qui solo in parte citato, prestare attenzione ai verbi che appartengono al campo semantico del guardare. Nel secondo (23 agosto 1968), durante la sua visita in Colombia in occasione della seconda Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano a Medellín, nell’omelia tenuta di fronte a circa trecentomila campesinos, Paolo VI non temeva di dichiarare che in loro egli vedeva Cristo: «Voi, Figli carissimi, siete Cristo per Noi. E Noi che abbiamo la formidabile sorte d’essere il Vicario di Cristo […], Noi Ci inchiniamo davanti a voi e vogliamo ravvisare Cristo in voi quasi redivivo e sofferente: non siamo venuti per avere le vostre filiali, e pur gradite e commoventi acclamazioni, ma siamo venuti per onorare Cristo in voi, per inchinarci perciò davanti a voi, e per dirvi che quell’amore, che tre volte Gesù risorto richiese da Pietro (cfr. Io. 21, 15 ss.), di cui Noi siamo l’umile e l’ultimo Successore, quell’amore a Lui in voi, in voi stessi lo tributiamo». Leggendo questi due interventi nella loro integrità, non si fatica a capire perché Papa Francesco si richiami spesso al Papa bresciano, da molti ritenuto aristocratico, distaccato, freddo. Solo chi non ha avuto la grazia di incrociare il suo sguardo lo può dire. Frugando nelle letture del giovane e non più giovane Montini si incontrano alcune opere di Romano Guardini, in particolare la prolusione da lui tenuta all’Università di Berlino all’inizio del suo insegnamento, La visione cattolica del mondo. Da essa si impara che il vero sguardo sulla realtà umana è lo sguardo di Cristo, divenuto lo sguardo della Chiesa, lo sguardo di un Papa dagli occhi affettuosamente scrutatori, ora riconosciuto santo.