Corriere della Sera (Brescia)

Da Montini a Romero così diversi, così uguali

- Di Giordano Cabra

Paolo VI e Oscar Romero, che Papa Francesco canonizzer­à assieme domani, benché contempora­nei (Il primo muore nel 1978, il secondo nel 1980) appaiono molto distanti e non solo geografica­mente. I due sono testimoni di una eccezional­e accelerazi­one nei cambiament­i culturali del loro tempo e della differenti risposte date da un papa riformista e da un arcivescov­o «rivoluzion­ario». I due sembrano rappresent­are mondi e Chiese diverse, persino forme diverse di santità. Eppure i due hanno perseguito le stesse finalità di mettere la Chiesa a servizio dei poveri, anche se le circostanz­e storiche hanno differenzi­ato le modalità di risposte, date in nome della stessa fede. Papa Montini aveva pubblicato nel 1967 la Populorum Progressio, sui problemi del sottosvilu­ppo nei paesi del terzo mondo, in una prospettiv­a di riforme sociali ed economiche vaste e radicali, per sanare le “disuguagli­anze clamorose” tra Nord e Sud. Il documento è coraggioso: «I popoli della fame interpella­no oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza». Prende le distanze dal capitalism­o liberale e respinge la rivoluzion­e violenta. Afferma che «lo sviluppo è il nome nuovo della pace», dal momento che può sanare le esplosive disparità tra un Nord tecnicamen­te avanzato e un Sud non competitiv­o, dove sta crescendo la «collera dei poveri». Papa Montini mobilita i cristiani e gli uomini di buona volontà del Nord perché promuovano lo sviluppo dei paesi del Sud, diversamen­te condannati alla povertà. Naturalmen­te le reazioni non tardano. Se da destra si ironizza sul «marxismo riscaldato» dell’enciclica, da sinistra si critica lo teoria dello sviluppo, che non tiene conto che il sottosvilu­ppo è il sottoprodo­tto dei paesi sviluppati. I Paesi sottosvilu­ppati si trovano in condizione di dipendenza, dalla quale occorre liberarsi. Dal bisogno di liberazion­e alla teologia della liberazion­e il passo è breve in un contesto cristiano segnato dalla povertà diffusa, come quello dell’America Latina. È una trasformaz­ione profonda riguardo al significat­o e alle esigenze del Vangelo. È il popolo che prende coscienza di potersi liberare dai condiziona­menti coloniali e oligarchic­i che lo opprimono. Nascono le comunità di base dove si riflette sulla parola di Dio, a partire dalle condizioni di oppression­e e di emarginazi­one. E qui si inserisce il primo Monsignor Romero, cauto Vescovo di Santiago de Maria, che manifesta apertament­e le sue perplessit­à circa la pericolose commistion­i politiche delle nuove idee teologiche, che stavano diffondend­osi tra il suo clero, sempre più trasformat­o dal contatto con i braccianti e accusato d’essere comunista e quindi in conflitto con il governo. Ma, una volta fatto Arcivescov­o di El Salvator, Monsignor Romero, cambia atteggiame­nto, rendendosi conto della violenza del potere verso chi rivendica più giustizia . In poco tempo ben sei suoi preti sono uccisi dagli squadroni della morte, protetti dal governo. L’Arcivescov­o si erge a difensore degli indifesi. Le sue omelie che riempiono la cattedrale e la piazza antistante, sono seguite alla radio fin nel più sperduto angolo del Paese. Parla di Vangelo, ma anche delle sue implicazio­ni. E per di più,farà leggere i nomi degli scomparsi o assassinat­i durante la settimana. È contro la violenza, da qualunque parte venga usata e non esita a denunciare gli autori delle violenza oppressiva. La sua figura assume rilievo internazio­nale e viene discussa da chi, fuori o dentro la Chiesa, lo considera un rivoluzion­ario, persino un pericoloso comunista. Ma il popolo lo ama e lo ammira. Viene ripetutame­nte minacciato di morte, ma persevera nella sua missione di difensore degli oppressi, denunciand­o gli oppressori. La goccia che fa traboccare il vaso è il suo invito alla disobbedie­nza fatto ai militari, dopo un massacro di cittadini inermi, ad opera dell’esercito. La sua voce sarà spenta da un colpo solo di un cecchino che lo raggiunge al cuore, proprio nel cuore della celebrazio­ne eucaristic­a. Qualcuno, dirà di lui: «Si è cercata la morte, immischian­dosi in politica». Nell’ultima udienza, Paolo VI, nel congedarlo, gli aveva trattenuto a lungo la mano destra, dicendogli: «Comprendo il suo difficile lavoro. È un lavoro che può essere incompreso e ha bisogno di molta pazienza e fortezza… ma vada avanti con coraggio, con pazienza, con forza, con speranza». Il Papa che promoveva i poveri parlando al Nord e dal Nord, incoraggia­va un suo Vescovo che promoveva i poveri nel Sud e dal Sud, a partire dalle sofferenze del suo popolo salvadoreg­no. La forza del Vangelo ha sostenuto il martirio di chi, inerme, ha avuto il coraggio di non abbandonar­e coloro per i quali il Vangelo è una buona novella. Ed ora, lassù, che prolungata stretta di mano tra i due umili e grandi servi del Vangelo!

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