«Montini, quel Papa sconosciuto che ha salvato la mia piccola Amanda»
Vanna Pironato racconta l’evento che è valso la canonizzazione: una complicazione aveva reso impossibile la conclusione della gravidanza
"Mi dissero che non c’erano speranze: l’unica cosa da fare era pregare a Brescia quel pontefice che in California aveva reso possibile la nascita di una bimba
«Paolo VI, chi?». Vanna Pironato, giovane madre nata sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, ha sentito pronunciare per la prima volta il nome di Giovanni Battista Montini in una giornata d’autunno del 2014. In grembo portava la figlia, Amanda, che a Natale compirà quattro anni.
Una bambina sana, piena di gioia di vivere. Ma quando era nella pancia della mamma da solo tredici settimane, i medici la diedero per spacciata. «Un aborto sicuro», la sentenza del ginecologo che eseguì le diagnosi. Il miracolo che è valso la canonizzazione a papa Montini nasce nella Bassa Veronese, a Villa Bartolomea, cittadina a un tiro di schioppo dal Polesine. Vanna fa l’infermiera nel vicino ospedale di Legnago, il Mater Salutis. Quando scopre di essere incinta è già madre di un bambino di tre anni, Riccardo.
Tutto sembra andare per il meglio, finché un dubbio non si insinua in lei. È una storia particolare, che ruota attorno a una culla, che Vanna ha trovato usata su un sito di inserzioni. Ne è stata conquistata per un dettaglio, la presenza di una zanzariera. Per comprarla si reca di persona fino in riva al Garda: «Non potevo lasciarmela scappare - racconta - a Villa Bartolomea le zanzare sono ovunque». Dalla proprietaria apprende una storia triste, quella di una bambina che ha potuto usarla solo per qualche mese, morta ad appena 90 giorni per una grave malattia genetica. Vanna torna a casa con l’acquisto e con un pensiero. E se succedesse a lei? Da qui la decisione di sottoporsi a un esame prenatale, la villocentesi. «Si fa con un prelievo dei villi coriali, la parte embrionale dalla placenta - spiega - c’è il rischio di avere complicanze, ma solo nell’un per cento dei casi». Sfortunatamente per Vanna e per suo marito, Alberto Tagliaferro, è quanto accade. Il primo sospetto arriva con delle perdite di sangue, che la fanno optare per un controllo in ospedale. Segue un secondo episodio, con dei crampi. Si ritorna al Mater Salutis: questa volta arriva la diagnosi del medico: rottura delle membrane. Per la scienza non c’è nulla da fare, la gravidanza non andrà a termine. Ma il dottore che l’ha presa
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La piccola è nata dopo 26 settimane ma sta bene Questa vicenda ha riavvicinato me e mio marito alla religione e a quell’uomo di cui non avevo mai sentito parlare
in cura, Paolo Martinelli gli suggerisce un’altra strada, quella della preghiera. È anche un modo per dire che, quello che i professionisti possono fare, si ferma lì. Ed ecco che salta fuori il nome di Paolo VI. «Ha fatto un altro miracolo simile», spiega il medico a Vanna, riferendosi a quello avvenuto negli anni ‘90 in California. Così Vanna arriva a Brescia, al santuario delle Grazie, caro al pontefice.
«Non sapevo chi fosse - ammette ancora oggi - ma pregai intensamente, mi inginocchiai in lacrime davanti all’altare». E prega anche papà Alberto, «per la prima volta dopo anni». Contro ogni previsione, Amanda continua a farsi spazio nell’utero. E il 25 dicembre, a solo 26 settimane, decide di provare a nascere. «Non è stato un parto facile racconta Vanna - era piccolissima, pesava solo 865 grammi». Amanda resta per tre mesi al policlinico di Borgo Roma di Verona, poi viene trasferita al Mater Salutis. Nell’aprile del 2015 varca, per la prima volta, la porta di casa. L’episodio passa sotto silenzio. Finché Vanna non ne parla con il giornalista del quotidiano locale l’Arena. Il parroco di Villa Bartolomea, don Benedetto Mereghello, legge l’articolo e si precipita da lei. Viene informata la diocesi di Verona, che avvia un processo interno. Una commissione di medici riconosce «la natura soprannaturale dell’evento».
Oggi Amanda è una bambina sana e vivace. Quel papa «sconosciuto» ha fatto il miracolo. «Dio ha voluto premiare anche una famiglia come noi – racconta ora Vanna – che andava poco in chiesa e pregava poco». Un lieto fine che ha liberato la madre da un immeritato senso di colpa: «Temevo di essere responsabile per quanto era capitato ad Amanda, non riuscivo a perdonarmi di essermi sottoposta a quell’esame. Naturalmente, con il senno di poi, non lo rifarei, ma non me la sento di dar consigli in questo senso. Penso che ogni genitore debba agire secondo quanto ritiene giusto».