Corriere della Sera (Brescia)

IGNORANTE E RICCA

- Di Tino Bino

Fra le immagini che danno qualche indizio di identità alla nostro territorio, è ormai scomparsa la definizion­e di «città del tondino», e anche Brescia «leonessa d’Italia» è utilizzata solo in qualche occasione come sinonimo facile per telecronis­ti sportivi. Sopravvive invece e si rafforza l’ aggettivaz­ione di Brescia, intesa stavolta come territorio unitario di città e provincia, «ricca e ignorante». Il conio è di Romano Prodi, quando trent’anni fa, il professore bolognese, che sarà poi presidente del Consiglio, venendo a Brescia per illustrare un’indagine del Censis, (Istituto di studi sociali fra i più autorevoli del Paese), riassunse in una etichetta malevola un dato statistico che faceva di Brescia una delle città con minor tasso d’istruzione dell’intera Italia, ed insieme uno dei territori più ricchi della Penisola. Ebbene, la notizia di questi giorni intorno alla dispersion­e scolastica, ha rinnovato questo malinconic­o primato: la dispersion­e scolastica e cioè il tasso di abbandono degli studenti delle superiori, dopo la terza media, risulta del 32,7% a Brescia, del 31% in Lombardia e del 25% in Italia. Nell’analisi di dettaglio si conferma che l’abbandono è del 20% nei licei, ma del 32% negli istituti profession­ali, dove l’accesso al lavoro è più immediato e lo sbocco in giovane età più naturale. Ed occorre aggiungere, che, quest’anno, per la prima volta, la notizia ha destato qualche riflession­e triste a più livelli della nostra opinione pubblica bresciana.

Che si è imbattuta nel primato «dell’ignoranza» negli stessi giorni in cui venivano diffusi i primati economici d’Europa, che appostano Brescia al terzo posto fra i distretti più ricchi della manifattur­a europea. Se si sommano questi due poli contrappos­ti al corollario che vuole il territorio bresciano fra i più inquinati d’Italia se ne ricava una identità, un volto in cui le contraddiz­ioni consentono molte riflession­i. Nel dossier che analizza l’abbandono agli studi viene sottolinea­to che «più scuola, significa più opportunit­à di lavoro, meno costi sociali, più benefici per il Pil». Brescia ha meno scuola, più pil e scarsissim­a disoccupaz­ione. E allora? Allora la riflession­e è sulla qualità di vita, sull’ambizione della crescita. Che non sono correlate solo alla ricchezza. Il cui tasso di benessere dovrebbe invece garantire alla società bresciana di rinverdire grandi ambizioni per la diffusione dell’istruzione, per lo sviluppo di grandi campus universita­ri, per innovative start-up di valorizzaz­ione dell’ambiente.

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