Don Lorenzo Milani, la conversione di un contestatore
Sono passati cinquant’anni dalla morte di don Lorenzo Milani, ma la sua figura e la sua eredità spirituale non cessano di “disturbare”, di affascinare, di essere reale pietra di scandalo. La meritoria decisione dei Meridiani Mondadori di raccogliere la sua opera, consente di avere un quadro più ricco della sua personalità, dei rapporti umani che dal piccolo angolo di Barbiana il priore ha saputo stringere e coltivare.
La Lettera a una professoressa e L’obbedienza non è più una virtù sono stati dei long seller degli anni della contestazione, hanno fornito — ma don Milani era già morto — parole d’ordine che sono servite per chiedere una scuola più aperta e accogliente anche per gli «ultimi». Sono state anche travisate, dimenticando che don Milani voleva più scuola, più rigore, più sapere per i suoi ragazzi (la sua passione pedagogica gli faceva trovare inutili le vacanze…).
Sono però le lettere, quasi un migliaio raccolte nel volume citato, che aiutano a ripercorrere il cammino che porta uno studente distratto, uno studente d’accademia mancato a scegliere la via del sacerdozio, proprio lui, figlio di una bella famiglia di grandi tradizioni culturali e intellettuali, per quanto laiche (si cita spesso il bisnonno Comparetti insigne latinista, il nonno Milani etruscologo, ma va sempre ricordata anche la bella persona del fratello Adriano, insigne pediatra). E poi c’è Alice, l’intelligente ebrea triestina sua madre, la più importante fra i corrispondenti di don Lorenzo. Se lui ha scelto una strada diversa da quelle dei suoi, ha portato comunque il peso e la grazia di questa eredità, niente può fare di don Milani figura di conformismo e acquiescenza a un cristianesimo di comodo (e nemmeno di potere). Alla distanza, appare sempre più chiaramente infatti la sua statura intellettuale, sempre più si conferma tra le esperienze più alte del cattolicesimo preconciliare (è con don Primo Mazzolari, padre David Maria Turoldo, padre Camillo De Piaz, padre Ernesto Balducci tra i predicatori chiamati dall’arcivescovo Montini alla grande Missione di Milano del 1957); eppure, sorprendentemente, nelle sue lettere sono pochi i riferimenti diretti al Concilio. Constatazione che fa riflettere sulla sua vocazione messianica ma in qualche modo esclusiva. Dunque va colta questa sera l’occasione dell’ultimo appuntamento del Teatro dell’anima dei padri saveriani, a San Cristo: Luciano Bertoli e Giuseppe Marchetti alla regia affrontano la «conversione» di don Milani, il suo valore ieri e oggi.