LA BANCA E LA SFIDA DI QUALITÀ
Ubi ha voltato pagina, si è data una nuova governance e — hanno spiegato in più occasioni i vertici dell’istituto — ha sposato un modello riconoscibile all’estero (il sistema monistico) e che punta a qualità e indipendenza (caratteristica essenziale per due terzi dei 15 consiglieri del nuovo cda). Una sfida non da poco per questa banca che è cresciuta in fretta, con un occhio globale e le radici piantate sul territorio, che cerca di dare trasparenza ai propri organismi, ma anche di non commettere gli sbagli e le leggerezze del passato (che continuano, indipendentemente dai giudizi che sono stati dati ai fatti, ad avvelenare il presente) dotandosi di una robusta normativa sui conflitti di interesse più stringente che altrove. Il rischio è che si arrivi ad elaborare una governance più congeniale agli investitori istituzionali (che sono lo 0,5% ma rappresentano il 50% del capitale) che ai territori che certificano, al contrario, il Dna di questa banca con profonde radici tra Brescia e Bergamo. «L’attenzione al territorio rimarrà immutata» ha ribadito in più di una occasione Andrea Moltrasio, ma questo auspicio si compirà solo quando il territorio saprà mettere in campo nell’immediato futuro alte professionalità e figure di indiscussa indipendenza. I prossimi mesi saranno decisivi e la dicotomia tra «cuore» e «finanza» sarà perfetta solo quando a vincere sarà la banca e ciò che rappresenta.