«Noi, sopravvissuti al crollo del ponte Siamo abbandonati dalle istituzioni»
I coniugi Femiano tra i feriti dell’incidente «Aspettiamo la verità sui responsabili»
«Non scorderò mai il rumore della strada che si sbriciola e ci inghiotte. L’odore dell’asfalto e della polvere. Le grida di dolore di mia moglie. Gli occhi terrorizzati di mia figlia, una paura muta che ancora oggi riesco a scorgere sul suo viso». Si commuove Gaetano Femiano mentre ricorda i terribili istanti del crollo del ponte di Annone Brianza, collassato sotto il peso di un autoarticolato: la vettura sui cui viaggiava insieme alla famiglia è precipitata nel vuoto, un volo di diversi metri, per poi rimbalzare in aria, come la pallina di un flipper e ricadere pesantemente al suolo, rimanendo in bilico sul troncone spezzato.
Il 28 ottobre saranno due anni dalla tragedia costata la vita al civatese Claudio Bertini. Cinque le persone ferite, tra queste Gaetano, la moglie Elena e la figlia di dodici anni Bianca. Da quel giorno la loro esistenza è cambiata per sempre. «Vivo con otto viti e una piastra di venti centimetri nella schiena. L’intervento chirurgico è durato dieci ore — racconta Elena —. I dolori sono lancinanti, i movimenti limitati, non posso nemmeno allacciarmi le scarpe da sola. Ho dovuto lasciare il mio lavoro a tempo pieno e chiedere un part time. Ho temuto persino di non poter più tornare a camminare». Non c’è rabbia nella sua voce, ma solo delusione e ancora tanta paura. «Paura che accada di nuovo. Che qualcuno continui a giocare alla roulette russa con la vita delle persone e non ne paghi le conseguenze — le fa eco Gaetano —. Ricordo tutto di quel giorno. Abitiamo a Mandello e come ogni venerdì stavamo andando al campo di agility di Annone con il nostro cane. Erano le 17.40. Ho imboccato il ponte mentre dal senso contrario arrivava l’autoarticolato. Il mio sguardo ha incrociato quello dell’autista e poi tutto intorno a me è diventato nero. Quando ho riaperto gli occhi eravamo sospesi a due metri d’altezza. Sono riuscito a scendere, non so ancora come. Ho aperto la portiera di mia moglie, che non poteva muoversi, l’ho posata delicatamente a terra e poi ho aiutato mia figlia, che mi tendeva le braccia con lo sguardo paralizzato e il volto insanguinato. Solo a quel punto mi sono reso conto di cosa fosse accaduto. Ma non ho pianto. L’ho fatto però nei giorni scorsi quando ho visto le immagini del crollo del ponte Morandi e ho rivissuto l’orrore. Dopo due anni di attesa credo che ora sia arrivato il momento delle risposte».
La Procura di Lecco non ha ancora chiuso le indagini preliminari, il fascicolo è passato di mano in mano, due sostituti sono stati trasferiti, il terzo ha assunto l’incarico da poche settimane. Tra gli iscritti nel registro degli indagati due dirigenti della Provincia di Lecco e un tecnico Anas.
Dalla perizia redatta dal consulente della Procura emergerebbero anche le possibili responsabilità di funzionari della Provincia di Bergamo, della società titolare del mezzo pesante, di chi si è occupato della manutenzione e dei controlli. «Otto persone in tutto a cui il 28 ottobre scriverò una raccomandata per chiederne la messa in mora», aggiunge Vito Zotti, legale della famiglia. «Ci hanno lasciati soli, si sono dimenticati di noi. Non una parola, una lettera, una telefonata da parte delle istituzioni per sapere come stiamo. Ogni volta che leggo la perizia un brivido corre lungo la schiena. Ci sono persone che sapevano le reali condizioni di quel ponte e non hanno fatto nulla. Persone che quel giorno potevano evitare che tutto ciò accadesse e non l’hanno fatto», scuote la testa Gaetano.
Incubi Abbiamo paura che accada di nuovo, che si continui a giocare con la vita delle persone