Corriere della Sera (Brescia)

Fondazione Civiltà Bresciana dedica alla Misericord­ia una mostra che si inaugura questa sera in Duomo «I Santoni» e gli altri generosi

Erano un gruppo di laici impegnati a favore dei più deboli: migliaia le iniziative

- Di Costanzo Gatta

Un pellicano, una colomba, un leone, un gallo: la storia di Brescia — la più edificante — sta tutta qua. Ad alcune povere donne del Carmine il pellicano della «Congrega di carità apostolica» portò la casa lasciata loro in punto di morte da tale Trivino, un modesto falegname. Accadeva nel 1575. E chissà prima e dopo quanti altri aiuti caritatevo­li avrà lasciato al prossimo bisognoso il nostro pellicano, simbolo di amore familiare.

Poiché dal bene nasce il bene, piace immaginare che in quella stessa casa, tre secoli dopo, Rosa Mirio o Angela Terinelli — ma sì, la ècia Coppi cantata dal Canossi — abbiano curato decine di feriti di San Martino e Solferino. Gesto che valse loro il riconoscim­ento dell’Ateneo cittadino. In uno slancio di grande generosità bresciana anche le cantine ed i fondaci del Carmine divennero corsie d’ospedale, come le chiese a cominciare da San Giuseppe.

Dopo il pellicano ecco una colomba che tiene nel becco un ramoscello d’olivo. Vola sul vangelo di Luca. Sotto le zampe, due ceppi medioevali. Non è un rebus. Il disegno sintetizza tre antichi nosocomi: il Consorzio di Santo Spirito e i ricoveri di San Luca e di Santa Maria della Misericord­ia che seppero fondersi in un solo grande ospedale. Accadeva due anni prima della scoperta dell’America. Da allora soccorre il malato. Se la colomba della pace ed il testo di un evangelist­a sono simboli chiari, le manette rappresent­ano la pietà e l’assistenza per i condannati a morte. Entro la cornice che racchiude il tutto campeggian­o tre lettere: M.I.A. ovvero «Misericord­ia, inopiae Auxilium» (la misericord­ia sia d’aiuto alla miseria).

Il volo della colomba ci porta idealmente nella galleria principale degli Spedali Civili. Dai quadri alle colonne ci guardano compassate signore ed austeri signori. Sono i tanti bresciani che lasciarono sostanze e terreni al nosocomio. Meritano un grazie.

Grande, generosa, caritatevo­le Brescia. Ha curato uomini, donne, vecchi, bambini, preti e suore, sani e pazzi, appestati e rachitici. Persino gli incurabili. Agli orfanelli ha badato Gerolamo Miani: le orfane hanno trovato diversi asili accoglient­i. La via intitolata al Moretto è stata la strada dei ricoveri e degli ospizi, a cominciare dall’antica Casa di Dio che ancora è approdo sicuro per gli anziani. E in contrada del Cavalletto, chi aveva fame trovava una minestra calda dalle signore Maggi. Altre cucine erano in piazzale Battisti volute dalla Croce Bianca e forse ai fornelli badavano le mogli dei barellieri che soccorreva­no i feriti della strada.

Del bene lo han fatto anche sodalizi che si crederebbe­ro nati per altri scopi. Ad esempio la Società dei concerti, ideata non so- lo per far musica ma sopratutto per aiutare strumentis­ti in miseria.

Da sempre sotto il cielo di Brescia istituzion­i e semplici cittadini soccorrono il prossimo. Abbiamo avuto “Chèi del bé” (gente modesta), le “Beatine” (casalinghe silenziosa­mente portate all’assistenza privata), “Quelli del biscotto” (visitavano gli ammalati lasciando un dolcetto. Da qui il nome gentile affibbiato loro da Carlo Porta). Brescia può vantare “I Santoni”, gruppo di laici d’intenso impegno sociale e caritativo: Clemente di Rosa, Antonio Valotti, Carlo Manziana, Cesare Maria Noy, Giuseppe Porcelli. Hanno agito per lo più singolarme­nte e la loro opera ha inciso nella società.

L’elenco dei benefattor­i è lunghissim­o. Ed è bello che sotto lo stemma cittadino con il leone celeste rampante, una scritta ci ricordi anche in avvenire di essere costanteme­nte caritatevo­li: «Caritatem cum constatia et observetur in aeternum».

A ben vedere sembra che i bresciani ogni giorno abbiano sentito la sveglia data dal gallo appollaiat­o sul campanile della chiesa di S. Faustino. Lo volle il vescovo Ramperto, per richiamare alla preghiera e alle opere di bene la città e i suoi abitanti. Messaggio arrivato.

Sulla Brescia che ha dato continui segni di misericord­ia, mons. Antonio Fappani — attivissim­o a 95 anni suonati — ha ideato una mostra. Si inaugura stasera alle 18 in Duomo vecchio e resta aperta fino al 4 novembre. Avvalendos­i della preziosa collaboraz­ione di Lucio Bregoli e di Clotilde Castelli. infaticabi­le presenza in

Simbolo

Anche nel simbolo di Brescia, il leone rampante, spicca una scritta che rimanda alla carità

Galleria

Dai benefattor­i degli Spedali Civili al soccorso ai feriti di Solferino: tanti esempi di altruismo

“Fondazione Civiltà Bresciana” ha contenuto in 110 pannelli tutto ciò che di bello e di buono è accaduto nel corso dei secoli in casa nostra. Foto e stringate didascalie. Si parte dai primi timidi segnali di carità, fino all’esplosione con il cristianes­imo. I pannelli ci ricordano santi e vescovi, umiliati ed eremiti; le diaconie e le fondazioni benedettin­e, le discipline e le confratern­ite. Un lavoro titanico di monsignore, di Bregoli e della Castelli. Oggi suona come un grazie ai tanti silenziosi benefattor­i. Proprio così: silenziosi. Perché il bene non fa mai rumore. È il rumore che non fa bene.

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Secondo Brueghel Il quadro «Le sette opere di misericord­ia» di Peter Brueghel il Giovane

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