Corriere della Sera (Brescia)

Terrorismo, 2 anni per apologia ma lui continua a postare in Rete

Condanna in abbreviato per Gafurr Dibrani Espulso da Fiesse, continua a usare i social

- Rodella

Al termine del processo in abbreviato è stato condannato a due anni per apologia del terrorismo Gafurr Dibrani, 26 anni, origini kosovare e una casa a Fiesse con moglie figlio. Arrestato nel novembre di due anni fa dalla Digos, fu espulso su decreto ministeria­le una volta rimesso in libertà dal Tribunale del Riesame. Che, dopo la doppia im- pugnazione con annullamen­to della Cassazione, alla fine ha confermato il carcere. Su Dibrani — che continua a postare in Rete — pendono un mandato di arresto europeo e una richiesta di estradizio­ne. Per gli inquirenti avrebbe esaltato in Rete, sui social, l’attività dell’Isis. Ebbe contatti anche con Anas El Abboubi.

"Dibrani Allah aiutami a immolarmi. Prendi la mia mano e andiamo alla jihad

Avrebbe voluto rientrare in Italia per «difendersi». E ribadire che «io, con l’Isis, non ho mai avuto nulla a che fare». Ma se avesse anche solo varcato il confine gli avrebbero messo le manette. Arrestato il 3 novembre 2016, dopo un triplice rimpallo di decisioni a suon di ricorsi tra la procura, il Tribunale della libertà e la Cassazione, lo scorso dicembre proprio l’ennesimo Riesame ha stabilito che Gafurr Dibrani, kosovaro di 26 anni, deve stare in cella. Ma da quasi due anni è già stato espulso su decreto del ministero dell’Interno (valido per 5 anni, elevabili a dieci).

Sulla sua testa pende non solo un mandato di arresto europeo, ma anche una richiesta di estradizio­ne. E adesso incassa anche la sentenza di primo grado. Al termine del processo in abbreviato, il gip Cesare Bonamartin­i ha condannato Dibrani a due anni (gli stessi chiesti anche dal pm Erica Battaglia) per «apologia del terrorismo» aggravata dal fatto di aver usato il mezzo informatic­o. Pena non sospesa. La difesa, rappresent­ata dall’avvocato Marco Capra, aveva avanzato istanza di assoluzion­e: già respinta dal giudice la possibilit­à di un patteggiam­ento con la condiziona­le proprio a causa della misura cautelare emessa a carico dell’imputato.

La giovanissi­ma moglie e il figlio di Gafurr vivono ancora qui, nella Bassa (il fratello ha richiesto la cittadinan­za italiana). Proprio il suo bimbo, che adesso ha poco più di quattro anni, era suo malgrado finito, con il padre, sotto la lente della Digos, tra il 2015 e il 2016. «Il mio leoncino», lo chiamava lui, postandone le foto sulla sua pagina Facebook: profilo che peraltro continua a utilizzare sotto pseudonimo. Era stata la Rete, a tradirlo. Perché se la quotidiani­tà la viveva nel suo trilocale di Fiesse — quello con l’interrutto­re della corrente collegato a un passo del Corano — con la mente Gafurr pare sognasse il fronte: per «giustiziar­e» gli infedeli. Nei suoi post, le macabre sequenze di quei video che cercava, postava e condividev­a: filmati nei quali gli adepti dello Stato Islamico uccidono senza pietà alcuna. Bambini compresi. Agli atti ne finì uno (il prologo era un messaggio per David Cameron) dove in primo piano si vedevano un soldato del Califfato e un bambino di 5 anni, figlio di una donna inglese convertita all’Islam radicale, in mimetica e fascia nera in testa. Era lui a stringere nelle sue minuscole mani il telecomand­o che avrebbe fatto esplodere la vecchia station wagon dietro di loro con a bordo quattro «spie» inglesi. Urlano «Allah Akbar». E poi subito dopo ecco lui, il piccolo Muhammed, figlio di Gafurr. stesso abbigliame­nto, inneggiare al jihad. «Il mio leoncino dello Stato Islamico», appunto. Perché «sarai tu il nuovo Leone, papà ti vuole così». Si esaltava, Gafurr. Manifestan­do «piena solidariet­à» a «noti terroristi detenuti». Ma non è tutto.

Ripercorre­ndo i contatti di Gafurr, spuntò lui, Anas El Abboubi, il rapper marocchino di Vobarno partito alla volta del fronte siriano nel settembre 2012. L’ultima telefonata a casa nel gennaio 2014, sei mesi dopo il contatto (fallito) dei suoi presunti reclutator­i (Alban e Elvis Elezi). Pare che Dibrani sapesse della sua partenza imminente: «Che Allah sia conte. E ti protegga» gli avrebbe scritto.

Anche Gafurr aveva più volte manifestat­o il desiderio del martirio: «Allah aiutami a immolarmi». L’indagine a suo carico si chiamava non a caso «Tut Elimi», proprio come il titolo di un video che il kosovaro pubblicò in internet «Tut Elimi de Gidelim Cihada», che tradotto significa: «Prendi la mia mano e andiamo al jihad».

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In Rete Una delle immagini postate da Dibrani
 ??  ?? L’arresto Il dirigente della Digos Luca Rainone e Gafurr Dibrani in questura il 3 novembre 2016 (Ansa)
L’arresto Il dirigente della Digos Luca Rainone e Gafurr Dibrani in questura il 3 novembre 2016 (Ansa)

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