Pasini, guerra all’indice di pressione: «Possiamo ritirare il ricorso al Tar»
«Siamo disponibili a ritirare il ricorso al Tar» contro l’indice di pressione. Non è un assegno in bianco, ma un’apertura politica di rilievo quella che Giuseppe Pasini ha consegnato ai microfoni del convegno sull’economia circolare. Il presidente degli industriali di Brescia sembrerebbe intenzionato a trasformare il muro contro muro con Regione Lombardia in una trattativa che vedrà entrambi le parti sedersi intorno ad una tavolo. In mezzo, ci sono le aperture dell’assessore all’Ambiente di Regione Lombardia Raffaele Cattaneo, che ha già istituito quattro tavoli «tematici» sui rifiuti che un domani potrebbero essere trasformati in sottoprodotti, ad esempio le scorie di fonderia o quelle di acciaieria. Ma se oggi questo processo di recupero «circolare» ha pochi spazi di manovra, il motivo è legato anche alla legislazione vigente.
«La normativa è di competenza esclusiva del ministero — spiega l’assessore regionale — ma tutte le decisioni che finora abbiamo assunto sono state trafitte dal Tar e dal Consiglio di Stato. Con l’autonomia regionale, invece, potremmo varare leggi su misura». Capaci di rispondere alle esigenze di un’industria che genera scorie e che potrebbe — come in Germania — trasformarle in sottofondi stradali. A patto che anche la normativa italiana non classifichi più quelle scorie come «rifiuti industriali». Se così fosse, «avremmo il 50% dei rifiuti speciali in meno» dice Marco Bonometti, leader di Confindustria Lombardia. Ecco, il punto è proprio questo: più si recuperano rifiuti, meno discariche servono a chi lavora nella siderurgia o nella meccanica. E l’indice di pressione, introdotto pochi anni fa da Regione Lombardia, diventerebbe quindi più digeribile anche per Confindustria.
Ad oggi, la normativa stabilisce che in un singolo comune non possono essere tombati più di 160 mila metri cubi di rifiuti. La legge, mutuata dal caso limite di Montichiari, voleva evitare le concentrazioni eccessive di rifiuti a danno della salute dei cittadini. E l’assessore all’Ambiente ieri ha rimarcato la bontà di quella legge, sgombrando il campo dall’idea che potesse essere abrogata. «È una norma ragionevole — ha detto Cattaneo — ma sulla quantità si può discutere». Ovvero sul limite dei 160 mila metri cubi. Un’apertura che potrebbe aver spinto il presidente Pasini, patron del Gruppo siderurgico Feralpi, a rendere pubblica la possibilità di un concreto ritiro del ricorso al Tar contro l’indice di pressione. È chiaro, però, che la partita decisiva per il futuro si gioca sul fronte della legislazione regionale e sul possibile riutilizzo delle scorie di fonderia e di acciaieria. Ma anche sui controlli, che vanno intensificati. Di certo, la normativa esistente è anche frutto delle pratiche attuate per decenni. E in questo senso i dati parlano da sé. Oltre a generare scorie e altri prodotti di scarto, la Lombardia ospita diverse aziende che importano rifiuti speciali da fuori regione.
Nel solo 2016 la provincia di Brescia ha interrato in discarica 2,6 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, pari al 21% di quelli nazionali e al 71% dei rifiuti regionali. E oggi, in questa provincia, sono stoccati sotto terra 69 milioni di metri cubi di speciali. Ecco perché l’economia circolare — e il riutilizzo dei rifiuti — potrebbe cambiare il futuro della regione.