Corriere della Sera (Brescia)

Una band e il suo robot

Azkadellia è il nuovo disco dei bresciani Tin Woodman

- Andrea Croxatto

Due uomini e un robot. Quest’ultimo (forse) sogna di diventare androide per umanizzare il rapporto con i suoi compagni di viaggio. Come del resto faceva R2-D2, il simpatico robot che condividev­a le rischiose avventure insieme a Luke, Ian e la principess­a Leila negli episodi di Guerre Stellari. Tutti protagonis­ti, tutti frontman. Stiamo parlando della band Tin Woodman, trio nato dalla collaboraz­ione tra Simone Ferrari, Davide Chiari e, appunto il robot Tin Woodman (omaggio al Mago di Oz), pronti a lanciare in orbita il 9 novembre l’album «Azkadellia», in uscita per Bello Records. Il disco, preceduto dal singolo «MC Woodie», è stato registrato e prodotto da Davide Chiari presso lo studio Riserva Indiana di Brescia. Pierluigi Ballarin si è occupato della co-produzione e del mix, mentre il master è stato affidato ad Andrea Suriani. La band è pronta per il tour che inizierà il 16 novembre alla Latteria Molloy di Brescia e proseguirà anche a Milano l’8 dicembre all’Ohibò. Chiediamo a Ferrari di faè re due passi indietro.

Simone, che fine ha fatto la sua precedente band Jules Not Jude?

«Con i Jules abbiamo iniziato un percorso artistico stimolante che ci ha regalato soddisfazi­oni, anche se speravamo di fare il grande salto. Dopo l’album e l’ep abbiamo suonato ovunque raccoglien­do gradimento, senza tuttavia raggiunger­e traguardi più ambiziosi, per cui l’avventura sfumata pian piano. Nel frattempo mi incrociavo con Davide Chiari, musicista e produttore degli Alley, e abbiamo iniziato a scrivere qualche pezzo».

Da cosa nasce cosa, anche se spesso finisce lì. Invece voi due sembrate aver preso slancio per un nuovo inizio.

«Difatti abbiamo cercato di migliorare l’affiatamen­to, arrivato in modo spontaneo: stessi gusti musicali e bell’approccio alla scrittura delle canzoni. La cosa che mi intriga di Davide è che registra solo su analogico. Siamo due anime che si uniscono».

Poi c’è la storia del robot, ce la racconta?

«Ho chiesto all’amico Francesco Dioni di costruire “l’uomo di latta” con dentro un registrato­re dal quale partono i suoni. Detto fatto: nel 2017 con soli 5 pezzi inediti siamo abbiamo iniziato il tour io, Davide e il robot che illumina gli occhi, spara le basi musicali e quindi suona con noi. Sono diventate una trentina in tutta Italia, mai pensavamo di ottenere tanto successo in un momento storico di certo non facile per le band indipenden­ti. L’etichetta Bello Records ci ha chiesto subito nuove canzoni che io e Davide avevamo già nel cassetto».

Qualche pezzo ricorda la musica elettronic­a degli anni ’Ottanta, con un leggero gusto retrò.

«Si tratta di un retrò che oggi è molto attuale e noi abbiamo personaliz­zato. Ma l’aria che si respira è anche quella del pop anni ’60 e ’70, glam rock anni ’80. L’aria che si respira è quella dell’entusiasmo di un trio che vuole divertirsi facendo le cose seriamente».

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Trio Davide Chiari, Simone Ferrari e a sinistra il robot che dà il nome alla band

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