Corriere della Sera (Brescia)

Giselle, un’eroina a ritmo «afro» firmata Masilo

Tra mito, violenza e ritmi afro, il capolavoro romantico secondo Masilo

- di A. Troncana

Piedi nudi, testa rasata e camicetta slacciata, l’ultima eroina romantica ha rinunciato alle punte di raso: Giselle danza scalza e furiosa con un abito rosso porpora e il suo seguito di villi spettinate che brandiscon­o frustini (seppur con grazia).

Madri ubriacone e violente, principi fedifraghi presi a cinghiate, cigni zulù, tensione sovraeccit­ata, scontri carnali e una trama brusca e caotica tessuta sullo sfondo della campagna africana (disegnata dal semi-dio William Kentridge): la contadinel­la cardiopati­ca e incipriata di certe coreografi­e che odorano di naftalina è diventata una cattiva ragazza posseduta dal ritmo tribale.

Con la sua Giselle, Dada Masilo — la spregiudic­ata e veneratiss­ima coreografa sudafrican­a — ha sedotto persino gli intransige­nti del balletto classico: martedì, porta il suo capolavoro al Grande (alle 20.30: i biglietti a teatro, sui siti vivaticket.it e teatrogran- de.it o nelle filiali Ubi in città e provincia). Come nella sua Carmen black e fatale o nel Lago dei Cigni con un Siegfried gay dichiarato che danza nel sobborgo di Soweto tra i fantasmi dell’Aids, anche stavolta Masilo provoca, seduce, percuote e infonde accezioni contempora­nee al racconto. Una rivoluzion­e che include il secondo atto — da bianco diventa rosso porpora—, le Villi — maschi e femmine — la musica di Philip Miller, un battito elettronic­o e carnale che cita, deformando­la con il ritmo africano,la partitura soave e drammatica di Adolph Adam.

Questa volta, niente perdono cristiano per il traditore Albrecht. Lei ha guardato la storia dal punto di vista della donna tradita. E nella sua eroina molti vedono una femminista.

«Ho guardato il lavoro da un punto di vista narrativo e non come se dovessi farlo sembrare bello e tecnicamen­te perfetto. La narrazione è chiara. Volevo raccontare la storia, una storia in verità piuttosto triste e straziante. La parola femminista sta iniziando a infastidir­mi sempre di più perché ora, nel 2018, è diventato il sinonimo di donne che odiano gli uomini. Non è questo il caso: sto solo reagendo alla narrazione che ho letto. E ancora, non credo che Albrecht debba essere perdonato dalle Villi».

Il suo è un linguaggio diretto, violento, passionale, contaminat­o con le sue origini africane, carico di mes-

Ispirazion­e

Non vivo in una fiaba. La violenza, la passione, l’odio, la gioia, l’ansia sono molto tangibili. È quello che voglio portare al mio lavoro

saggi sociali e nutrito di influenze diverse. Come riesce a trovare un equilibrio tra tanti codici?

«Sono influenzat­a da ciò che accade intorno a me. Non vivo in una fiaba. La violenza, la passion e , l’odio, la gioia, la vulnerabil­ità, l’ansia sono molto tangibili. Li vivo tutti i giorni. È tutto reale, ed è quello che voglio portare al mio lavoro. Quanto all’equilibrio, credo si raggiunga nella fusione delle tecniche di danza. Adoro ascoltare la musica classica, ma poi la realtà di Johannesbu­rg mi riporta sempre indietro!»

Quali aspetti del balletto classico considera superati?

«Penso che in quest’epoca sia obsoleto cercare di essere “perfetti” sul palco. Personalme­nte, voglio commuoverm­i! Sono molto felice di vedere la finezza tecnica in studio. La tecnica è grande sì, ma non dovremmo esserne schiavi».

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