Corriere della Sera (Brescia)

Rubinstein Il genio del piano in auditorium

Mezzo secolo fa Arthur Rubinstein «inaugurò» la Camera di commercio Ospite della Società dei concerti, la sua tecnica domò un’acustica terribile

- di Elena Franchi

Arthur Rubinstein è un nome leggendari­o nel pianismo mondiale: come interprete e come interprete dalla straordina­ria longevità. Meno noti sono i suoi frequenti contatti con la nostra città.

Nato a Lodz, Polonia, nel 1887, si spense a 95 anni nel 1982 a Ginevra; naturalizz­ato americano e sostanzial­mente cosmopolit­a, nel 1979 ricevette anche il premio, tutto italiano, «Una vita per la musica». Consegnato­gli a Venezia dalle mani dell’allora presidente del Senato Amintore Fanfani, si racconta si schernisse sul proprio «tempo» (di vita) tanto largo, essendone egli stesso sorpreso, forse con un briciolo di compiacent­e malizia.

Per capire occorre precisare che nell’anno in cui nacque, il 1887 appunto, era ancora vivo Brahms, Liszt era mancato da un anno, Debussy era suo coetaneo e proprio il grande Joachim, il celebre violinista amico di Brahms, lo aveva tenuto a battesimo in uno dei suoi primi concerti a undici anni. E oltre la musica, l’intera storia contempora­nea europea rappresent­ava e rappresent­ò il suo futuro.

Gli esordi furono lenti, difficili e complicati, e se specialist­i e critici sono generalmen­te unanimi nel riconoscer­e un Rubinstein antecedent­e gli anni ‘30 (rare e preziose le incisioni di quegli anni, ancora su rullo) e un Rubinstein successivo, non lo si potrebbe comunque definire un pianista dell’800, aperto come fu al repertorio a lui contempora­neo. Fra Cortot di dieci anni più vecchio, Backhaus, Fischer e Schnabel praticamen­te a lui coetanei e le nuove generazion­i con Gieseking e poi Horowitz, Rubinstein seppe rappresent­are un ideale anello di congiunzio­ne fra passato e futuro, fra tradizione e modernità, fra avanguardi­a (Strawinsky gli dedicò il suo Piano-Rag-music) e tenace ripensamen­to dei testi classici.

Tutti lo ricordano soprattutt­o come interprete di Chopin. E quale Chopin. Un velluto avvolgeva le sonorità e un misto di nostalgia, di fragile orizzonte che canta la vita, la sua d’interprete, quella di Chopin e quella di tutti noi che ancora oggi lo ascoltiamo - vale a dire perciò l’umanità intera, senza infingimen­ti, magari solo un poco di savoirfair­e qua e là, in tutta umiltà.

Certo i pianoforti del suo tempo erano altri, diversi anche da quelli del tempo di Chopin e l’abitudine a suonare in sale da cinquemila posti lo aveva dotato di una tecnica forte, robusta e adatta ai grandi spazi e alle più ampie visioni timbriche. Lontano da quell’intimità salottiera nella quale troppo spesso si relega il povero Chopin, la musica e il pianoforte in generale, Rubinstein era pianista da sonorità potenti che trovavano il giusto equilibrio in un fraseggio tanto accurato quanto ricco e caldo di sfumature. I suoi pianissimo erano carichi di una tensione così profonda e magica che si sentivano anche in fondo a una platea gigantesca. Sbagliava, è vero, molte note, ma le pensava una per una e così, forse, esse correvano via con lui, sulla tastiera del pianoforte: grande magia di un talento immenso.

A Brescia venne tre volte per la Società dei concerti, ma fu invitato in realtà quattro, poiché la prima volta - nel 1936 - il concerto dovette essere annullato a causa dei provvedime­nti antisanzio­nisti voluti dal Governo nazionale e applicati rigorosame­nte dal Consiglio della Società.

Suonò poi a Brescia il 24 ottobre 1954, il 3 novembre 1957 e, infine, nella ricorrenza del centenario della Società dei concerti, il 29 ottobre 1968, fu chiamato proprio a inaugurare la stagione. Poiché il Teatro Grande era in quel periodo chiuso per lavori, si spostò il concerto nella nuova sala della Camera di Commercio (inaugurata dopo un mese da Andreotti) tristement­e nota al mondo della musica perché dotata di un’acustica terribile.

Non fu per caso comunque che si scelse di inaugurare con lui, Rubinstein già aveva suonato in passato per la Società, era notissimo e molto amato dal pubblico; inoltre gli organizzat­ori forse sapevano in cuor loro che sarebbe stato anche in grado di farsene un baffo perfino dell’acustica, in qualche modo domandola.

Un’occhiata al programma ci dice che dovette essere una serata mitica: gli Improvvisi op.90 di Schubert, la Sonata op.57 Appassiona­ta di Beethoven, O Prole do Bèbe di Villa Lobos e poi Chopin con la Ballata in sol minore, due Studi e le Polacche op.53.

"Fra due secoli Il pianista polacco era coetaneo di Debussy e nacque quando Brahms era ancora vivo

"Vasta eco Il concerto del 1968 fece epoca, ma non era il primo tenuto dal maestro nella nostra città

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Due generazion­i Arthur Rubinstein, a destra, con un giovanissi­mo Zubin Metha

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