Stress test: Ubi Banca supera la prova
Ampio margine pure nello scenario peggiore
Ubi ha superato le prove a cui l’Eba e la Bce l’hanno sottoposta, insieme ad altre 48 grandi banche del vecchio continente, comprese Intesa, Unicredit e Banco Bpm. Per ogni istituto un’ipotesi di bilancio statico sulla base di dicembre 2017 proiettato in due cornici temporali, per tre anni fino al 2020. Il quartetto tricolore ha tenuto. Per Ubi ampio margine anche nell’ipotesi peggiore.
«Il nostro track record sugli stress test mi sembra non abbia mai deluso e non credo inizieremo adesso», aveva affermato Victor Massiah, durante la conferenza stampa al termine dell’ assemblea degli azionisti a Bergamo lo scorso 19 ottobre. No, la delusione non è arrivata. L’ad di Ubi Banca ci ha preso, non solo ricordando l’insieme dei risultati ottenuti in passato (bene nel 2014, e benissimo due anni fa, quando Ubi si piazzò al secondo posto in Italia e al sedicesimo fra le 51 banche europee sotto esame), ma preconizzando secondo la logica dei numeri l’esito del nuovo stressante round di cadenza biennale, reso noto ieri. La resistenza, o meglio la resilienza c’è e con un impatto in ipotesi di scenario avverso migliore della media del campione europeo analizzato. Ubi ha superato le prove a cui l’Eba, l’Autorità Bancaria Europea che vigila da Londra, e la Bce l’hanno sottoposta, insieme ad una sfilza di altre 48 grandi banche del vecchio continente, comprese tre altre importanti consorelle italiane, Intesa, Unicredit e Banco Bpm. Le autorità hanno preso, per ciascun istituto, un’ipotesi di bilancio statico sulla base di dicembre 2017 e lo hanno buttato in due cornici temporali, per tre anni fino al 2020.
Uno scenario considerato è stato bollato di «normalità», nell’altro, invece, tutto frana: il Pil, l’aumento dei rischi sovrani, il crollo dei prezzi immobiliari, un’impennata della disoccupazione. Il fine ultimo del test sottende a queste domande: come se la caverebbero le banche in questo virtuale tritacarne, particolarmente nefasto? E soprattutto, avrebbero, nel malaugurato caso, una sufficiente tenuta patrimoniale? Come ne uscirebbe il famoso Cet1, il patrimonio di base? Il quartetto tricolore ha tenuto evidenziando, anche nel caso dello scenario peggiore, un ampio margine di sicurezza sul terreno più sfidante: il Cet1, in breve l’indice di solidità. Chi più, chi meno. Intesa è risultata in testa; in caso di scenario avverso il valore al 2020 del suo Cet 1 è indicato al 10,40% (al 10,80% nel 2018, al 10,64% nel 2019), per Unicredit al 9,34% (al 10,31% nel 2018, al 9,58% nel 2019), per Bpm all’ 8,47% (al 9,93% nel 2018, al 9,40% nel 2019) e per Ubi all’ 8,32% (al 9,76% nel 2018, al 9,25% nel 2019). Piccola consolazione; fanno peggio molte big tedesche, francesi e britanniche. In ambito Cet1, vale la pena ricordarlo Ubi, per dirla in modo ciclistico, oggi si muove nella pancia del gruppo. Davanti a tutti c’è Mediobanca (secondo Equita Sim)con il 14,2%, poi Credem 13,0% seguito da Unicredit al 12,5%. Seguono le altre: tra l’11,7% di Intesa, l’11,6% di Bper, e l’11,4% di Banco Bpm e, appunto, Ubi. Non essendo stata fissata una soglia di capitale, non ci sono né promossi né bocciati, ma il test confluirà nella valutazione Srep 2019. Si tratta di un processo di revisione e valutazione prudenziale che, condotto dalla Bce su capitale, liquidità governance e modello di business, indicherà ad Ubi come alle altre banche, tra la fine dell’anno e l’inizio del 2019, i parametri di adeguatezza patrimoniale. (Per Ubi, nel 2018 era stato indicato l’8,63%). Piccolissima soddisfazione da Piazza Affari. Già nella mattinata, le prime indiscrezioni avevano rallegrato l’indice di Borsa dei bancari con Ubi che, alle 13 segnava un rialzo del 3,5%, salvo poi chiudere in calo a 2,826 (+2,65%). Intanto è già tempo di presentazione dei risultati del terzo trimestre dell’anno, il 7 novembre. Gli stress bancari non finiscono mai.