Il dibattito sulla riforma: il privato chiede più spazi e il pubblico cerca risorse
La riforma della presa in carico potrebbe dare un contributo decisivo alla «sostenibilità economica» del servizio sanitario. È un passaggio del discorso di Simona Tironi, vicepresidente della III commissione regionale che ieri sera, a Brescia, ha aperto i lavori di un confronto sull’attuazione della riforma, ricordando che «la sfida è mantenere i servizi e la qualità con il calo delle risorse». Tema cruciale, dato che l’universo dei pazienti cronici rappresenta un terzo della popolazione lombarda, ma assorbe quasi il 70% dei fondi sanitari. Una torta che vale diversi miliari di euro e interessa anche i privati, con la maggior parte di questi attori – siano essi cliniche o strutture di riabilitazione – che hanno partecipato in massa alla riforma del Pirellone. Sia come erogatori di servizi (visite, esami, etc) sia come gestori. Ma se il fondo sanitario cala, il riflesso c’è anche per i privati.
Così accade che magari «a giugno è finito il budget» lamenta Marco Bonometti, leader di Confindustria Lombardia e quindi di un mondo che – grazie alla legge 31 del 1997 – entrò in un sistema di accreditamenti che poteva attingere ai rimborsi regionali. La Lombardia in questi anni ha attirato pazienti da tante altre Regioni, ma ora sembra che anche questo non basti più. La proposta di Bonometti è puntare sull’internazionalizzazione della sanità: «Bisogna portare pazienti dall’estero», in modo da sopperire alla riduzione delle risorse. Aprendo ai solventi, cioè a coloro che si pagano tutto. Se fosse per Bonometti, sarebbe inutile anche tenere le stesse specialità «sia nel pubblico sia nel privato». Dimenticando però che specialità cruciali come la cardiochirurgia sono nate prima nel pubblico e poi, negli anni, si sono moltiplicate in termini di spesa pubblica per via dell’ingresso di quelle stesse specia- lità – dei privati – nel sistema dei rimborsi. Che fare, quindi? Perché il pubblico – a differenza del privato – deve rispondere ai bisogni di tutti: dializzati (Nefrologia), soggetti colpiti da ictus (Neurologia), diabetici (Medicina interna) o persone con malattie mentali. Si tratta di una presa in carico fondamentale, costosa e poco “remunerativa”. Tanti di questi cronici negli anni scorsi – e ancora oggi – finiscono nelle corsie degli ospedali. E la sfida della riforma è curarli sul territorio («Fra i nostri progetti futuri c’è anche l’intenzione di aprire un hospice presso l’ospedale di Gardone Valtrompia» ha annunciato in proposito il dg del Civile Ezio Belleri). Ma le soluzioni cliniche passano attraverso la ricerca universitaria, con docenti di grande livello che lavorano al Civile. Che però esista un rapporto non semplice tra ospedalieri e universitari lo ha ammesso ieri sera anche il rettore: «A volte si punta più su un equilibrio che sulla qualità» ha detto il professore Maurizio Tira. Convito che l’importante sia «riconoscere dove ci sono le competenza». Ma la forza e la potenzialità dell’università di Brescia non sono in discussione. Anzi, tanto più che ieri è stato il rettore stesso a chiedere all’assessore al Welfare Giulio Gallera che «il territorio di Mantova e Cremona sia attribuito, come riferimento, a Brescia», annunciando anche per la prossima settimana un contatto con una grossa realtà privata bresciana. Il Civile, insomma, potrebbe non essere più un interlocutore esclusivo, in provincia e questo è già una svolta.
"Tironi La sfida è mantenere la qualità con il calo dei soldi a nostra disposizione
"Bonometti Bisogna portare pazienti da fuori perché a giugno abbiamo già finito il budget