WEB NOTIZIE E LIBERTÀ
Il primo colpo sui diritti nel web vede l’Europa compatta dalla parte del pluralismo dell’informazione e dell’equità nella distribuzione dei ricavi derivanti dalla diffusione della stessa. Questa vede penalizzati gli editori-autori «cartacei» rispetto agli editori «virtuali» del web, che usano quelle risorse senza remunerarle, spacchettando e scomponendo le notizie in frammenti «liquidi e brevi» per il web, compresi foto e video. Storia iniziata nel 2001 in un’epoca ancora immatura di web services dove l’Ue metteva mano al tema delicato del copyright e concretizzata nel 2016 con una direttiva che aggiornava le norme poi bocciate a luglio e poi approvate a larga maggioranza (il tema è stato al centro anche di un recente dibattito alla rassegna della microeditoria di Chiari). Due gli articoli dibattuti e contesi: 11 e 13. Il primo disciplina l’equo compenso dei grandi aggregatori nei confronti dei produttori di contenuti. Escludendo da tale «tassazione» anche l’uso «privato e non commerciale». Il secondo, ossia l’art. 13, più delicato, riguarda l’obbligo per le grandi aziende ad esercitare un azione di filtro selettivo stretto delle informazioni da «pubblicare» sulle loro piattaforme. Quest’ultimo aspetto è piuttosto delicato perché offre ai pachidermi dell’attenzione la possibilità di censurare arbitrariamente alcuni contenuti rispetto ad altri, largamente superabile dagli accordi di licenza e cooperazione con gli editori all’origine del contenuto. Sui grandi media basterebbe indicare la fonte e dunque tutto dipenderà dalla forma e tipologia di questi accordi.
Ma si è fatto un grande passo avanti verso la trasparenza e la democrazia e c’è da sperare che non venga stravolto dal prossimo voto di Strasburgo. L’Italia è rimasta isolata con un voto contrario, incomprensibile di fronte alle posizioni monopolistiche e la scarsa trasparenza su algoritmi e filtri di Google e Facebook, soprattutto dopo il disastro di Analytica e di un decalogo risibile per gli utenti proposto da FB nella audizione al Parlamento Usa, come se fossero i responsabili delle fughe di dati. L’Europa c’è, così come con il voto sanzionatorio sulle regole democratiche “deviate” dall’Ungheria che rischia di portarci indietro (con la Polonia) indietro di 70 anni. Non ce lo meritiamo, non possiamo permetterlo, perché l’umanità ci chiede di difendere i principi della democrazia.