Il Bigio continua a dividere la città
La Loggia chiede un confronto culturale
Dal gallerista ed ex presidente di Brescia Musei Massimo Minini al presidente dell’Ateneo Sergio Onger e allo storico Franco Robecchi, abbiamo chiesto a diverse personalità bresciane cosa ne pensino del Bigio di Arturo Dazzi e dell’idea di musealizzarlo: un progetto che la Loggia sta discutendo con la Soprintendenza.
Per alcuni rappresenta il maschio simbolo di virilità che nemmeno Salvini prima della Isoardi. Per altri è opera d’arte negata ai posteri che anche i talebani farebbero l’inchino. Altri ancora lo additano come simbolo del Male. C’è chi lo lascerebbe dov’è, chi concede i giardinetti e chi si annoia, al punto da sperare di vederlo finire in mille pezzi. Lui è ovviamente l’Era Fascista, il Bigio di marmo con la foglia che riemerge in modo carsico per appassionare e alimentare il dibattito pubblico. Al bar, sui social, e ovviamente anche in consiglio comunale. Come l’ultimo, altrimenti non particolarmente appassionante, scaldatosi a tempo praticamente scaduto per colpa (o merito, dipende) della Lega a trazione nazionale e dell’ordine del giorno presentato che chiedeva al sindaco di togliere la Stele di Paladino dal piedistallo di piazza della Vittoria per ricollocarvi il Bigio. L’ordine del giorno fu ritirato con l’impegno che si rinviasse il tutto a una discussione in commissione nella quale ragionare della futura collocazione della statua. Tutti d’accordo, salvo lite perché da Simona Bordonali questo fu interpretato come primo passo per il «ritorno del Bigio in piazza», cosa che ovviamente non fu apprezzata dalla maggioranza. Al di là della polemica consiliare, il fantasma del Bigio è uscito dai magazzini comunali per tornare a far discutere. Galeotta fu la nota di inizio ottobre, con la quale la Fondazione Brescia Musei annunciò che le opere di Paladino in giro per la città venivano restituite all’artista, ad eccezione della stele nera in piazza Vittoria, che invece sarebbe rimasta lì «per qualche tempo».
Poche ore e arriva la risposta della Soprintendenza guidata da Giuseppe Stolfi. Un po’piccata perché certe cose sarebbe meglio non apprenderle dai giornali. E stizzita soprattutto sul merito: «La posizione della Soprintendenza in merito alla controversa questione concernente la ricollocazione del “Bigio” in piazza Vittoria è da anni ben conosciuta, e contraria a ogni surrettizia “sostituzione” della statua di A. Dazzi con altra opera contemporanea». Passa qualche giorno e arriva la fumata bianca, o quanto meno grigia: «Il confronto tra Loggia e Soprintendenza — si legge in un comunicato del 10 ottobre — è andato nella direzione di costruire un percorso che, nel tempo, permetta di offrire alla città una riflessione storica, politica, artistica e urbanistica sul ruolo e sul valore della statua. Questo potrebbe comprendere una temporanea musealizzazione dell’opera, individuando un luogo idoneo. È stato deciso di avviare un dibattito con la città, il cui esito deve restare aperto e portare a una scelta condivisa e consapevole sul destino della statua». Musealizzazione, quindi, ovvero trasferimento del Bigio di marmo in qualche posto (Santa Giulia o altrove) in attesa di trovare una destinazione definitiva. Nel frattempo l’uomo nero di Paladino se ne resta dov’è, al posto di quello di marmo, e fuori e dentro Palazzo Loggia si continua a discutere. Come finirà, ovviamente, è presto per dirlo. Le posizioni, come illustrano le interviste in pagina, sono eterogenee.
C’è chi lo vorrebbe lasciare in magazzino, chi concede un trasferimento in Castello, chi lo vorrebbe a Carrara (in un museo, non a far gradini di marmo) e chi ovviamente spinge per il suo ritorno in piazza: senza se alcuni, con scritta esplicativa altri. E poi c’è la provocazione di Minini: «Iniziamo a sbattezzarlo: non più Era fascista, ma giovane con uccello per aria». Potrebbe aiutare a uscire dalle secche del dibattito.