Effetti collaterali di una sindrome italiana
Ombre psichedeliche, riverberi metallici e un uomo in bermuda e calzettoni di lana al centro del palco: Alessandro Sciarroni inizia a ruotare il collo, e all’improvviso il movimento circolare si impossessa del resto del suo corpo. Un vortice perpetuo e un’unica sequenza di quaranta minuti che sposta il limite dell’equilibrio e fa trapelare quelle che lui chiama «le domande giganti»: stasera e domani, il performer porta il suo viaggio psicofisico — Chroma_don’t be frightened of turning the page — nella sala Borsoni del Teatro Grande (alle 20.30; teatrogrande.it).
La sua circonferenza immaginaria — un frammento del ciclo Turning — scaturisce dall’osservazione del fenomeno migratorio di alcuni animali: «Ho iniziato a lavorarci anni fa, quando mi hanno invitato in Canada per studiare la migrazione dei salmoni — spiega —. È stato allora che ho notato come il movimento circolare scandisca la vita animale».
Nel suo lavoro, qualche critico ha intravisto riferimenti ai dervisci rotanti: «Ma si può pensare anche a tutto quello che gira. Non c’è una struttura narrativa: la mia è un’esperienza che si può interpretare liberamente, e in cui non si trovano risposte. Al limite, emergono domande gigantesche come quelle che fanno i bambini sul mistero dell’esistenza». Il suo linguaggio contamina la danza con il teatro, la musica e le arti visive (lo stesso titolo dello spettacolo, Chroma, cita il Libro dei colori di Derek Jarman): «Quando mi muovo non penso al medium che sto usando. Non ho mai fatto una lezione di danza in vita mia, e nei miei lavori affiora sempre il background nel teatro e nella performance. Ma la danza mi ha adottato, e credo che in altri contesti il mio lavoro non funzionerebbe così bene». Un amore imprevisto: «Stiamo pensando di adattare Chroma alle punte e al balletto classico per Matera 2019».
Suggestioni Difficile trovare risposte osservando il mio lavoro Piuttosto, affiorano domande gigantesche