Appalti, Valcamonica nel mirino
Dopo Malonno, Ceto, Cimbergo, finisce agli arresti domiciliari il sindaco di Paspardo
Se fosse una malattia, si tratterebbe di una epidemia, perché sotto accusa è finito un modello operativo, quello che alcuni comuni della Valcamonica hanno di gestire gli appalti. Ieri è toccato al sindaco di Paspardo finire agli arresti domiciliari dopo che inchieste analoghe (tutte sulla gestione di alcuni lavori in paese) avevano interessato Malonno, Ceto e Cimbergo. Per tutti normative disattese per favorire fabbriche locali rispetto a grosse imprese.
«Grande il nostro sindaco Fabio Depedro, che fa delle grandi cose per il nostro paesello!». Lo scrive, nei giorni scorsi, una sua cittadina su Facebook. Non spetta certo a noi dubitare della sua solerzia, ma per la magistratura almeno alcune, delle cose fatte, non avrebbero rispettato la legge. La logica di fondo sembra sempre la stessa: favorire (solo) le aziende locali. In barba alle procedure e alle disposizioni amministrative. Niente «forestieri», insomma. Non in Valcamonica, finita di nuovo nel mirino della procura per l’ennesimo presunto appalto irregolare. Su disposizione del gip e richiesta del sostituto procuratore Ambrogio Cassiani agli arresti domiciliari, con l’accusa di «turbativa del procedimento amministrativo per la scelta dei contraenti» stavolta è finito il sindaco di Paspardo, Fabio Depedro. Indagati anche il vicesindaco Caterina Dassa, infermiera di professione, e l’assessore ai Lavori pubblici Aristide Salari, bidello.
Sotto la lente degli inquirenti i lavori per la riqualificazione energetica in municipio, avviati nell’ottobre di un anno fa e ancora in corso. Valore stimato: 244.574 euro. Quindi, se il Comune di Paspardo avesse bandito una gara aperta al mercato, questo appalto, naturalmente, avrebbe potuto essere aggiudicato anche ad una azienda che locale non era: possibilità che il sindaco («regista» del sistema) pare non avrebbe permesso. Tanto che in una determina del 6 ottobre 2017 questo indirizzo trova traduzione nero su bianco: «La particolare dislocazione del Comune disincentiva la partecipazione di imprese che provengono da zone lontane, pertanto si ritiene opportuno preferirne una che conosca il territorio». Tutti gli imprenditori coinvolti negli affidamenti diretti sono stati convocati e sentiti in procura: «Il Comune ci dava un modulo con un’offerta già precompilata e con un apposito spazio per inserire il ribasso». Peccato che altri pretendenti non ci fossero proprio. Al sindaco e i suoi assessori si contesta infatti di aver diviso fraudolentemente l’appalto in nove lotti di importi pari o inferiori alla soglia di 40 mila euro, al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione.
In sostanza, uno «spacchettamento» illecito in lotti funzionali dell’appalto, per affidare i lavori in modo diretto alle ditte «amiche». Una possibilità che peraltro la legge (il decreto legislativo 50 del 2016) prevede, quella di suddividere in lotti funzionali le gare d’appalto, ma per «favorire l’accesso alle piccole medie imprese», e secondo regole precise: perché «funzionale» viene definito un lotto, cioè parte di un lavoro o di un servizio la cui progettazione o realizzazione sia tale da assicurarne la piena funzionalità, fruibilità e fattibilità indipendentemente dal compimento delle altre parti affinché l’opera proceda. Quindi si intende una prestazione autonoma, tale da garantire al Comune la possibilità di beneficiare delle prestazioni a prescindere dal fatto che gli altri lotti siano aggiudicati.
Ma non sarebbe questo il caso. Anzi. Gli accertamenti avrebbero dimostrato che i lavori per la riqualificazione energetica del municipio di Paspardo non potevano vivere di vita propria. E sarebbe stato proprio l’ingegnere incaricato di redigere il progetto a spiegare al sindaco di Paspardo che quell’appalto non avrebbe potuto nè dovuto essere suddiviso in lotti funzionali. Ma Fabio Depedro l’ha fatto comunque, convincendo anche la sua giunta. E «selezionando» una lista di imprenditori da favorire (che pare non avessero nemmeno le certificazioni necessarie per partecipare a un bando superiore ai 150 mila euro). Lo stesso Salari lo avrebbe ammesso: non sapendo niente in materia di appalti, avrebbe firmato ciò che il suo sindaco gli diceva di sottoscrivere. Non solo: «La sua linea politica era dichiaratamente quella di favorire le imprese locali».
Nessun commento, per ora, dall’avvocato Massimo Achilli, che assiste tutti e tre gli indagati: «Siamo ancora in una fase prematura».
Sotto accusa la procedura
I lavori valgono 244 mila euro: sarebbero stati «sezionati» illegittimamente in lotti sotto la soglia dei 40 mila